Questa la definizione base del concetto di start-up contenuto nel decreto sviluppo bis, approvato ieri dal Consiglio dei Ministri. Ma non è tutto: per qualificarsi come start up innovativa, un’impresa deve possedere almeno uno dei tre seguenti requisiti: “Spese in ricerca e sviluppo superiori al 30 per cento del maggiore valore fra spese totali e valore della produzione; impiego come dipendenti o collaboratori di personale in possesso di titolo di dottorato o che sta svolgendo un dottorato o in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata; o titolare di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale”.
Ecco, insomma, chi sono le start up: realtà industriali di nascita recente con vocazione specificamente tecnologica e votata all’innovazione. Un punto su cui il governo, e in particolare il ministro per lo Sviluppo Economico Corrado Passera, insiste da tempo, al punto che, per le start up sono state introdotte significative agevolazioni, anche in deroga alle riforme più identificative varate dalla squadra di Mario Monti.
Per le imprese nasciture e votate alla modernizzazione del Paese è stato approntato un contributo iniziale di 200 milioni di euro, di cui 110 da subito e i restanti provenienti dal Fondo Italiano d’Investimento della Cassa Depositi e Prestiti. La copertura dei finanziamenti verrà diluita tra 2013 (con 70 milioni di euro) e 2014 (circa 140).
In tema di occupazione, alle start up viene riconosciuto il diritto, contrariamente a quanto introdotto dalla riforma del lavoro di Elsa Fornero, di contrattualizzare personale anche per soli sei mesi. I rapporti di lavoro saranno estendibili fino a 36 mensilità, con possibilità di rinnovo o di proroga, ma solo in una occasione. Dopo quattro anni, il contratto diventa forzatamente a tempo indeterminato.
Inoltre, in ambito fiscale, per le persone fisiche che investono nelle start up viene specificata una riduzione per i prossimi 3 anni del 19% della somma investita, da detrarre sull’Irpef lorda.
Sul reddito sottoposto a tassazione, qualora alcune azioni, titoli, quote o rendite di qualsiasi tipo della startup non quotata vengano assegnate ai dipendenti o anche a un amministratore, il capitale prodotto non figurerà nella fascia di reddito imponibile a norma di legge.
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