Con la campagna elettorale per le politiche del 2013 che ormai si prepara ad entrare a pieno regime e che sarà anticipata dal voto siciliano di fine ottobre, l’annuncio odierno del Presidente del Consiglio Mario Monti di non escludere a priori la possibilità di succedere nuovamente a sé stesso alla guida del Governo giunge come una bomba a orologeria – anche se, in realtà, non del tutto inaspettata – dopo una serie di ripetute smentite.
Il Premier lo ha dichiarato a New York, dove ha partecipato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite ed al Council of Foreign Relations: “Dopo le elezioni è giusto che i partiti politici possano presentare un Presidente del Consiglio che sia uno di loro e che non sarò io. Certo che se ci fosse una circostanza particolare, se dovesse essere richiesto, considererei l’ipotesi di dare una mano. Sono stato nominato senatore a vita e non ho bisogno di presentarmi alle elezioni”.
Il Premier, che fino a ieri aveva sempre ribadito che l’esperienza del Governo tecnico – unitamente alla sua personale in politica – si sarebbe conclusa nella primavera del 2013, ha dunque deciso di darsi una nuova chance, scuotendo un panorama politico italiano disastrato da una ormai lunghissima serie di scandali e da un clima di corruzione e degrado generalizzato.
Con il diffuso discredito che ha colpito trasversalmente i principali partiti, un “bis” dei tecnici, per quanto considerato come un tabù – e comprensibilmente – dalla politica stessa, è in realtà nell’aria da diverso tempo. E, probabilmente, anche più popolare di quanto non ci si aspetterebbe presso l’opinione pubblica, nonostante il Governo Monti abbia preso alcune tra le misure più dure, in termini di sacrifici economici, almeno dai tempi di Tangentopoli con il Governo di emergenza a guida Amato (era il 1992-1993), e forse ancor più di allora.
Stando alle ultime rilevazioni, la fiducia in Mario Monti è tornata nuovamente sopra il 50% dell’elettorato (al netto dell’astensione, che veleggia attorno al 30%). Fatto che il Premier stesso non ha mancato di sottolineare con una certa soddisfazione, in un’intervista rilasciata al popolare anchorman della Pbs, Charlie Rose: “Penso che abbia aiutato non essere politici, non dover combattere per il consenso, ma semplicemente cercare ed avere il sostegno dei tre più grandi gruppi politici in Parlamento, che ci hanno dato il loro aiuto nonostante non abbiano nessuna loro personalità nel Governo”. Aggiungendo che “la cosa divertente, ma in fondo incoraggiante non tanto per questo governo ma per il Paese è che gli Italiani hanno subito forse la più dura e intensa cura di sempre ma sembrano avere fiducia nel Governo”.
Tra le forze politiche, solo i centristi del “Terzo Polo” non hanno mai fatto mistero dell’aperta predilezione per un Monti-bis, dichiarandosi disponibili ad accogliere nelle proprie liste anche i Ministri “tecnici”. Ma complessivamente, tanto a destra quanto a sinistra, un ritorno di Monti inquieta. Rappresenterebbe la formalizzazione da parte del popolo sovrano dell’incapacità della politica di riformarsi ed uscire con dignità – parola che sembra lontanissima dal descrivere la situazione presente – dal pantano in cui è sprofondata. Tanto da far dimenticare la durezza della recente politica economica a firma tecnica.
Appare con sempre maggior chiarezza, alla luce dei recentissimi scandali del Lazio che hanno infine portato alle dimissioni della Presidente Renata Polverini, ultimi di una lunga serie – che difficilmente un qualsivoglia Governo politico avrebbe avuto l’autorevolezza per far accettare ad un Paese stremato e sull’orlo della bancarotta una simile terapia. Questo i tecnici lo sanno bene, anche se devono usare mille cautele – a cominciare dallo stesso Monti – per sorvolare su tale realtà imbarazzante per i politici e continuare l’azione di Governo volta a riportare l’Italia fuori dalle secche della crisi economica, rafforzandone la posizione nel contesto europeo e mondiale.
Ma è quasi certo che l’esperienza del Governo tecnico non potrà essere liquidata con un semplice colpo di spugna alle elezioni del 2013. Chiunque vinca ha, infatti, una serie di impegni presi in sede europea ed internazionale da rispettare, a cominciare dal Fiscal Compact. E, con Monti o senza, la strada del “montismo” appare comunque già tracciata per i prossimi 20 anni.
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