“A Like that doesn’t come from someone truly interested in connecting with a Page benefits no one”. Questo l’incipit della nota pubblicata il 31 agosto scorso con cui gli amministratori di Facebook, preso atto della tendenza di acquistare o procurare falsi Like sulle fanpages di aziende e brands, annunciano severi e accurati controlli.
Ma andiamo per ordine. Che i social network non siano più esclusivamente una divertente distrazione è da tempo chiaro a tutti. Se ne sono accorte soprattutto le aziende che, spesso incentivate da agenzie di marketing o professionisti della comunicazione, prendono ormai d’assalto Twitter, Facebook, Google+ (per nominare i più popolari), ma anche Foursquare, Instagram e l’ultimo arrivato Pinterest, per promuovere prodotti o servizi e per accrescere la propria popolarità.
Quando di mezzo ci sono gli affari poi, il gioco si fa duro…e non sempre corretto! Ne abbiamo avuto conferma in questi ultimi mesi in cui si è parlato moltissimo dei poco ortodossi metodi utilizzati da molti per “millantare” una non reale popolarità online, come nel caso dei falsi followers che ha coinvolto anche politici e professionisti.
Se Twitter è stata la prima vittima, tutti immaginavamo che a breve la polemica avrebbe investito anche Facebook. Ma nessuno, probabilmente, si sarebbe aspettato che Mark Zuckerberg mettesse le mani avanti in modo da tutelare – a ragione – la credibilità del social network e ribadire la necessità di rispettarne i termini di utilizzo, preannunciando l’automatica rimozione dei “mi piace” sospetti: “(…) we have recently increased our automated efforts to remove Likes on Pages that may have been gained by means that violate our Facebook Terms”.
L’operazione di “pulizia”, si legge nel comunicato, porterà presumibilmente alla rimozione di meno dell’1% dei Like presenti sulle pagine di molti brands. Per questo mi chiedo: come mai così tanto rumore? Infatti, a differenza di quanto successo su Twitter per cui utenti con poche centinaia di followers hanno improvvisamente “guadagnato” un’eccezionale quantità di ascoltatori, qui si discute di una percentuale irrisoria, che dubito sia il risultato della compravendita di fans. Perché, quindi, correre subito ai ripari per qualche click di troppo e, magari, temporeggiare su questioni molto più importanti quali, ad esempio, il rispetto della privacy?
A mio avviso quella di Facebook non è altro che un’operazione preventiva per scoraggiare le aziende dall’usufruire in futuro di poco corretti servizi di acquisto di falsi like, che rischierebbero di rovinare la reputazione di un social network che guadagna sulla condivisione di contenuti autentici e dare avvio, ipoteticamente, ad azioni legali tra le aziende per pratiche di concorrenza sleale cui Facebook sarebbe necessariamente coinvolta.
Il timore di ciò si legge molto chiaramente in questo passo del comunicato, in cui Facebook declina ogni responsabilità: “To be clear, we do not and have never permitted the purchase or sale of Facebook Likes as we only want people connecting to the Pages and brands with whom they have chosen to connect. (…) We also highly recommend that Page owners vet any business that offers marketing services to build your Facebook presence, to make sure that these companies are using only legitimate practices, which do not violate the Facebook Terms”.
Non dimentichiamo poi, che Facebook si trova in un periodo economico molto delicate con le proprie azioni quotate in borsa che hanno perso quasi il 50% del valore. Un comportamento prudente come questo è quindi da ritenersi necessario per un’azienda che non può più permettersi passi falsi.
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