Ciò che emerge è sconcertante e soprattutto ha un effetto domino che non lascia fuori nessuno, come nel gioco a tessere con la caduta del primo tassello tutti gli altri vanno a seguire, Profumo compreso. I 145 “esperti” si è scoperto che sono semplici funzionari ministeriali, oltre qualche professore, per lo più ispettori, sicuramente non retribuiti per questo compito e altrettanto certamente, lo conferma la coordinatrice della commissione Lucrezia Stellacci, pressati dall’urgenza dei tempi.
La commissione “non ha percepito un compenso, ma” di più ” è stata precettata d’urgenza l’estate scorsa per fare i test e per lo più hanno lavorato da soli. Vuol sapere perché è andato tutto male? Perché è mancato il confronto” queste le testuali parole della coordinatrice che svelano tutta l’asistematicità, l’approssimazione e la superficialità con cui è stata redatta una prova che per molti ha significato tutto, o quasi, a livello lavorativo.
Ora, insieme alle scuse più sentite, il ministro Profumo rende nota la lista secretata di quei 145 nomi, stende come panni al sole questo elenco di persone che per molti rimarranno semplicemente un incongruo insieme di nomi e cognomi oggetto dei più irosi pensieri e che, di fatto, oltre la pubblica onta non pagheranno diversamente. L’utilità di questa gogna mediatica è dubbia probabilmente ma soprattutto non calma il popolo nutrito di chi ha sostenuto il test e non si vede minimamente risarcito per la poca professionalità impiegata da chi la doveva garantire, ministro compreso.
Spicca, così, ancora più evidentemente la manovra puramente economica che sta alla base di tutto questo, si possono fare mille proclami; sui giovani, i nuovi posti nella scuola, il rilancio del Paese, ma la verità è che a questo perfido e beffardo teatrino chiamato Tfa hanno partecipato 150.000 studenti, versando ognuno 100 euro (nel migliore dei casi, perché ci sono quelli che hanno fatto più classi di abilitazione e quindi versato più contributi), quindi sono 15 i milioni di euro finiti nelle tasche “vuote” degli atenei. Sembra paradossale ma la spending review è passata anche da qui, gli studenti, mediante quello che doveva essere il concorso per lanciarli nel mondo del lavoro, hanno finanziato l’università e lo stato senza rendersene conto e lo hanno fatto attraverso un mezzo difettoso; oltre il danno anche la beffa, come sempre.
La domanda da porsi è: di queste scuse, caro ministro, che ce ne facciamo? Totò probabilmente risponderebbe come al comandante tedesco che diceva di avere carta bianca, quello che invece si può aggiungere qui è che nè le scuse, nè la sanatoria applicata ai risultati, ossia la traduzione in corrette di tutte quelle domande errate, mal poste o di risposte praticamente giuste, è sufficiente a riparare una situazione che ha palesato tutti i limiti della macchina burocratica e amministrativa italiana.
Perché se il concorso per dirigenti scolastici in Lombardia è stato reso nullo dal Tar regionale per illeciti nella correttezza dello svolgimento della prova non si può prendere un provvedimento uguale anche per il Tfa? Perché dobbiamo sempre farci andare bene le cose, aggiustarle con il nastro adesivo ed abbassare la testa a quello che di fatto è stato uno dei più grandi soprusi ai giovani italiani degli ultimi 20 anni? Le risposte a queste domande non le abbiamo, però abbiamo le scuse, vi bastano? A me no.
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