Questo è quanto si evince dalla lettura della sentenza n. 13556/2012 emessa il 30 luglio dalla Prima Sezione Civile della Cassazione, con cui la Suprema Corte ha dato via libera al riconoscimento di una sentenza statunitense sul divorzio di una coppia di cittadini americani, che i giudici della Corte d’Appello di Venezia avevano già ritenuto pienamente efficace anche all’interno del nostro ordinamento giuridico.
Chiara e netta la posizione presa in materia dal collegio giudicante della Cassazione presieduto dal Consigliere Maria Gabriella Luccioli: non vi è violazione, né contrazione alcuna dei diritti indisponibili ed inviolabili dei figli, se la pronuncia emessa in uno stato estero omette di disporre sul mantenimento e sull’affidamento dei figli.
La sentenza oggetto di riconoscimento era stata emessa negli Stati Uniti d’America, da un Tribunale del grande stato del Texas, ed in particolare della città di Houston, a seguito dell’istanza di divorzio presentata da una coppia locale di coniugi, che aveva deciso di mettere fine alla propria vita coniugale.
I giudici texani, nel legittimo esercizio delle loro funzioni, avevano concesso il divorzio e avevano ratificato giudizialmente l’accordo intercorso tra i due ex coniugi, con cui gli stessi chiedevano che il tribunale adito non si pronunciasse sulle questioni attinenti all’affidamento e al mantenimento dei figli e che lasciasse tale incombenza ai giudici del Tribunale di Verona, città italiana in cui la coppia si era da tempo trasferita.
Ma gli accordi, si sa, spesso sono fatti per non essere rispettati. Infatti, se il marito, in maniera piuttosto diligente chiese tempestivamente il riconoscimento della sentenza in Italia, ai sensi dell’art. 64 della legge n. 218/1995 (la c.d. legge di diritto internazionale privato), la moglie, contravvenendo agli accordi pregressi, si oppose a tale riconoscimento, chiedendo che la decisione giudiziale del Tribunale di Houston, non venisse accolta perché contraria alle norme di Ordine Pubblico italiane.
La sentenza di divorzio pronunciata dal giudice straniero fra cittadini non italiani, come nel caso in questione, anche se omette di indicare le condizioni di affidamento e di mantenimento dei bambini, non entra in conflitto con alcun principio fondamentale dell’ordinamento italiano.
Secondo la Suprema Corte, infatti, “Nessun principio costituzionale, impone che la definitiva regolamentazione dei diritti e dei doveri scaturenti da un determinato status sia dettata in un unico contesto”.
Non si può inoltre affermare che l’accordo, nel caso di specie, fosse stato viziato, come invece sostenuto dalla donna che aveva affermato di essere stata indotta a firmarlo dietro ricatto, non essendo stata fornita, in tal senso, ai giudici italiani investiti dalla questione giudiziale, nessuna credibile prova.
Impeccabile, almeno stando al pensiero della Cassazione, l’operato dei sopra citati giudici di merito, che hanno giustamente applicato l’art. 64 sul riconoscimento delle sentenze straniere, anzichè la disposizione normativa in materia di riconoscimento degli atti di volontaria giurisdizione, cioè l’art. 66 della l. 218/1995 (la già citata legge di Diritto Internazionale Privato).
Per la Suprema Corte, infatti, la pronuncia straniera, anche se riproduce il contenuto di un libero accordo intercorso tra le parti, è comunque sempre espressione di un potere giurisdizionale, e pertanto comporta l’applicazione del meccanismo di riconoscimento dei provvedimenti giurisdizionali, introdotto nel 1995 e disciplinato dall’art. 64.
Tra l’altro, i giudici italiani hanno anche accertato positivamente, che il giudice americano avesse la competenza a statuire in materia, in base ai principi propri dell’ordinamento italiano.
Di qui il via libera al riconoscimento della sentenza Usa e alla competenza dei giudici italiani di disporre efficacemente sulle questioni inerenti all’affidamento e al mantenimento dei bambini.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento