La legge approvata, comunque, sarà tutt’altro che “balneare”: come noto, la spending review interviene con tagli pesanti sulla spesa pubblica, per un monte di risparmi stimato in oltre 20 miliardi di euro. Non meno importante sarà la portata giuridica, sociale e amministrativa del pacchetto di revisione delle finanze pubbliche, messo a punto dal premier Mario Monti, raccolte le indicazioni dei vari ministri e del supercommissario Enrico Bondi. I tagli, infatti, andranno a colpire settori cardine come sanità, giustizia e pubblico impiego: approccio da molti valutato come tutt’altro che mirato, con cori che si sono alzati denunciando l’arrivo di “tagli lineari“.
In prima linea, soprattutto i sindacati, che seguiranno con vivo interesse il pronunciamento finale della Camera, avendo già annunciato, per settembre, lo sciopero generale del pubblico impiego. Sugli statali, infatti,pende una scure impietosa: esuberi, mobilità a go-go e stretta su ticket e ferie non godute. Il vero rebus è quello dei prepensionamenti, che alcuni calcoli stimano in 24mila ma, secondo perizie più accorte, il loro impatto potrà essere valutato solo in sede di emanazione dell’apposito decreto, che sarà pronto, verosimilmente, per il prossimo mese di ottobre.
A ruota, non si sono ancora spente le voci di medici e farmacisti, che hanno ottenuto, nell’ultimo round al Senato, la libertà di scelta per l’indicazione dei medicinali in ricetta, oltre all’obbligatoria dicitura del principio attivo. A far storcere il naso, soprattutto la limatura degli sconti applicati alle farmacie, passati dal 3,65 al 2,25%, mentre la quota di risparmio riservata alle aziende si sposta dal 6,5 al 4,1%. Pesanti anche gli effetti sul settore ospedaliero, dove viene prevista la scomparsa di 18mila posti netto nei prossimi due anni.
Confermatissimo, invece, il capitolo che prevede il riordino delle Province, secondo il criterio di 350,mila abitanti minimi oppure un’estensione di 2500 chilometri quadrati: saranno 64 quelle cancellate o accorpate, 50 nelle Regioni a Statuto ordinario e 14 in quelle a Statuto speciale. Le città metropolitane sembrano invece destinate a passare immuni dalle revisioni del decreto.
Altri ambiti toccati dal super-decreto della spending review sono la giustizia, con l’accorpamento di Tribunali e l’addio alle sedi dei giudici di pace, la tasse universitarie, con l’inasprimento per i fuoricorso che non lascia immuni anche gli studenti diligenti, e ancora, nel pubblico, il tetto alle retribuzioni dei manager, oltre al giro di vite alle società partecipate e in house. Ridono, per ora, solo i Comuni, che, dopo la marcia dei sindaci di fronte a palazzo Madama, sono riusciti a strappare un contributo di 800 milioni, benché in linea generale le erogazioni centrali verso gli enti periferici subiscano una forte diminuzione.
E l’ultimo allarme arriva da Confesercenti che, tramite un monitoraggio dei settori coinvolti e un’analisi delle possibili conseguenze della spending review, ha concluso che le novità in materia di spesa pubblica porteranno a un incremento della tassazione pari a 1,9 miliardi di euro. Secondo l’associazione di categoria, ciò è dovuto alla facoltà introdotta per le Regioni in rosso nei bilanci sanitari di alzare l’addizionale Irpef di 0,6 punti percentuali con dodici mesi di anticipo rispetto alle altre regioni, cioè già a gennaio 2013.
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