Sì del Senato alla spending review. Via 64 Province, nodo statali

Redazione 31/07/12
La spending review passa sulla fiducia in Senato, dopo il maxiemendamento proposto dal governo per blindare il testo e velocizzare i tempi di approvazione. Ora, il decreto legge 95/2012 sulla revisione della spesa pubblica torna alla Camera per il placet definitivo, che dovrebbe arrivare entro la settimana. L’aula di Palazzo madama ha dato il proprio benestare al pacchetto di tagli e di redistribuzione della finanze pubbliche definito dal governo di Mario Monti con la supervisione del commissario ad hoc Enrico Bondi. Il provvedimento ha ottenuto 217 sì, 40 no e 4 astensioni, e adesso si sposta a Montecitorio.

Si avvia a conclusione, dunque, l’iter parlamentare della spending review, il provvedimento legislativo più discusso degli ultimi tempi, che in molti non hanno esitato a definire una “manovra di mezza estate“. Sono 14 i miliardi di euro che dovrebbe lasciare in cassa l’intero piano di rimodulazione della spesa, di cui 4 nell’anno in corso e gli altri 10 miliardi nel 2013. Negli intenti del governo, questo riassetto delle finanze dovrebbe scongiurare, per i prossimi mesi, l’aumento dell’Iva al 23%.

Novità importanti, tra emendamenti più o meno corposi, hanno fatto breccia nel testo finale uscito dalle Commissioni del Senato. Il “taglia e cuci” operato dai relatori a confronto con i membri dell’esecutivo, ha portato a rivedere la linea su alcuni temi dalle profonde ricadute economiche e sociali, come università, farmaci, pubblica amministrazione ed enti. Un accordo giunto faticosamente, dopo giornate – e nottate – di dibattiti, che hanno fatto slittare ripetutamente il voto. Mario Monti ha concesso tempo, senza tradire, però, la promessa di convertire in legge la spending review prima della pausa estiva. Si spiega così il colpo d’acceleratore impresso con il voto di fiducia.

La misura di nuova introduzione che ha fatto discutere di più negli ultimi giorni è sicuramente quella sui farmaci cosiddetti “griffati”, il divieto, passato in un primo momento, per il medico di indicare il medicinale specifico nella prescrizione. Questo vincolo, nelle intenzioni del governo avrebbe aperto le porte alla sola, generica indicazione del principio attivo del farmaco, dunque lasciando libero il paziente di scegliere se acquistare un prodotto tra quelli più in vista sui banchi oppure “accontentarsi” di un generico. Con le ultime modifiche, la norma è stata in parte corretta, conservando l’obbligo di indicazione del principio attivo, cui potrà accompagnarsi, a discrezione del medico, anche il nome del farmaco più indicato per il paziente. Un parere che sarà vincolante per il farmacista.

Sul fronte delle università, invece, resta la stangata sui fuori corso, con rincari delle tasse di iscrizione del 25% per redditi familiari fino a 90 mila euro lordi, del 50% fino a 150 mila, del 100% oltre i 150 mila. La tegola, però, arriva anche per gli studenti che non hanno deficit di esami. Anche per gli universitari in corso, infatti, viene previsto un innalzamento del contributo accademico, con la postilla che a restare immuni dal rincaro siano tutti gli studenti con reddito Isee al di sotto dei 40mila euro.

Passando, ora, sul fronte del pubblico impiego, nonostante la spending review sia prossima al traguardo della conversione in legge, il numero degli esuberi resta ancora fortemente incerto. Per ora, si è parlato di 11 mila statali negli uffici centrali  (suddivisi tra enti e ministeri) e di 13 mila negli enti locali,  soglie che, in attesa delle disposizioni applicative, restano però puramente ipotetiche. Come già accaduto per gli esodati, insomma, il numero esatto degli statali che verranno estromessi dalle piante organiche, probabilmente lo si saprà solo quando le norme saranno entrate completamente in vigore. Di certo, c’è che  il taglio colpirà il 20% dei dirigenti e il 10% del personale. I dipendenti a meno di due anni dal ritiro saranno condotti al prepensionamento; per chi resta, stretta sui buoni pasto e sull’obbligo di svolgimento delle ferie.

Le ultime modifiche alla spending review vanno a colpire anche il settore degli enti e della loro organizzazione. In primis, sulle Province è in arrivo un “riordino” (questo il termine usato nel testo, a sostituzione della “soppressione”), che entro fine 2012 le obbligherà a estendersi su un bacino di non meno di 350mila abitanti e su una superficie territoriale maggiore o uguale a 2500 chilometri quadrati. Spariranno, secondo queste cifre, 64 Province in tutto il Paese. Anche le Regioni, comunque, non ridono. Su di loro, e sui Comuni, la mazzata ammonta a 7,2 miliardi di euro, compensati, in piccola parte con 800 milioni conferiti alle amministrazioni comunali. Le Regioni in deficit sanitario potranno “rifarsi” sulla pelle dei contribuenti, anticipando al 2013 l’aumento dell’addizionale Irpef da 0,5 a 1,1%, già in programma per il 2014. Infine, viene stabilito uno stop al meccanismo automatico, per la messa in liquidazione o privatizzazione delle società in house. Scartato, invece, il dimagrimento dei Cda e del personale per tutte le partecipate.

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