Poiché a parlare non erano persone qualunque, ma soggetti in diretto contatto con le istituzioni e i decisori, non v’è il minimo dubbio che le cose stiano esattamente così. Il Governo e il Parlamento sono del tutto consapevoli che l’accorpamento e la sottrazione di competenze alle province non ha alcuna utilità sul piano economico e finanziario; è solo una “coperta di Linus”, un contentino ai giornalisti che sulle intemerate contro la “casta” costruiscono la loro popolarità, nonché uno “scalpo” da offrire al popolo, da mostrare per far vedere che si lotta contro “gli sprechi”, anche se in effetti non si cava un centesimo dal buco.
La questione, così come la parte di trasmissione dedicata alle province, ha veramente del grottesco o, se si vuole, del tragicomico. In questa fase la “spending review” veniva e viene osannata come lo strumento per ridurre le spese dello Stato e risanare i conti senza aumentare, finalmente, la pressione fiscale.
Dovrebbe essere, la spending review, una cosa molto, ma molto seria. E per attuarla non sarebbe stato necessario alcun supercommissario: una lettura attenta a referti e relazioni della Corte dei conti avrebbe consentito agevolmente di capire dove e come agire.
Invece, come troppo spesso accade in Italia, la spending review ha finito per essere solo un nome, dietro il quale mascherare un’altra cosa: nel caso di specie la solita manovra correttiva dei conti estiva, intrisa di tagli lineari o, comunque, per nulla coerenti con una revisione della spesa basata su analisi delle priorità. Arricchita, però, in questo caso dal “simbolo”, l’accorpamento delle province.
Troppo in pochi sanno e molti omettono (artatamente) che proprio di un simbolo e nulla più è l’accorpamento delle province. La prova? La tabella redatta dalla Ragioneria Generale dello Stato, illustrativa dei risparmi discendenti dal d.l. 95/2012. Leggiamola bene: la riga relativa all’accorpamento delle province non esiste nemmeno. Perché? Perché da tale idea non deriva nemmeno un centesimo di Euro, né nemmeno una frazione di Dracma, di risparmio. Nulla.
Ora, i simboli sono importanti. Di solito, nelle leggi, si parla di simboli quando ci si riferisce alla bandiera, all’esercito, alla Costituzione. Insomma, si tratta dei simboli in modo serio, come serie dovrebbero essere le leggi. Che non sono romanzi di appendice, né sottocapitoli di libri-best seller delle star giornalistiche alla Stella e Rizzo.
E’, oggettivamente, disarmante che un Governo e un Parlamento di un Paese così in difficoltà possano aver fatto argomento quasi centrale e, comunque, costante delle azioni virtuose per riprendersi dalla crisi la questione delle province. Soprattutto perché, come dimostrato dagli organi tecnici, non se ne guadagna nulla.
Ma, l’altra gravissima omissione dei corifei della necessità di agire sulle province è ancora più grave: oltre a non produrre nemmeno un cent di risparmio, essa sarà costosissima. Pensiamo: ci saranno da trasferire 56.000 dipendenti ad altri enti, da passare milioni di contratti (tra utenze, appalti, servizi), da trasferire immobili (in prevalenza scuole), insomma da aprire una quantità immane di negozi giuridici. Lo Stato non è capace, nonostante gli intenti, di fondere l’Agenzia delle entrate con quella del territorio, che fanno parte della medesima branca amministrativa. Sogna, però, il Governo a caccia di simboli, di poter trasferire con un solo tratto di penna il 90% delle competenze delle province ai comuni. Quali? Ce ne sono 8100. I capoluoghi? Quelli con un certo numero di abitanti? Nessuno lo sa. Nessun criterio serio ed efficace può essere evidenziato.
Il rischio, anzi la certezza, è che i comuni si troveranno sul groppone nuove incombenze, senza nemmeno adeguati finanziamenti per portare avanti i servizi. Infatti, il “simbolo” viene realizzato mentre ai comuni si sottraggono tra 2012 e 2013 ulteriori 2,5 miliardi e alle province 1,5 miliardi: impossibile, dunque, che le funzioni trasferite dalle province ai comuni si “portino in eredità” il quantitativo di denaro sufficiente per renderle in maniera decorosa.
Si tratta di una vera dèbacle amministrativa, un delirio giuridico alla ricerca del “simbolo” da offrire ad un popolo veramente considerato obnubilato e incapace di giudizio critico, anche grazie al prezioso lavoro di lavaggio del cervello del giornalismo superficialmente intento a denunciare la casta, senza mai saper scendere nei dettagli degli sprechi e delle regole amministrative.
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