Il nuovo C.d.A. RAI è finalmente al completo. Era ora.
Il Testo Unico della radiotelevisione (d.lgs. 177/2005), e prima ancora la legge Gasparri (L. 112/2004), stabilisce che è alla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi che spetta indicare sette dei nove membri del Consiglio di amministrazione RAI, eleggendoli con il voto limitato a uno; i restanti due membri, tra cui il presidente, sono invece indicati dal socio di maggioranza, vale a dire il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ad oggi possiede il 99,56% del capitale.
Ebbene, esattamente come era accaduto per la nomina dei componenti dell’AGCOM e del Garante per la protezione dei dati personali, anche in questo caso, il copione era già stato scritto dai partiti: Antonio Verro, Luisa Todini, Antonio Pilati e Guglielmo Rositani, in quota PDL-Lega; Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo in quota PD; Rodolfo De Laurentis in quota UDC. Sette nomine politiche.
Del tutto vana la previsione dettata dal comma 4 dell’art. 49 del citato decreto che, nel fissare i requisiti necessari richiesti per la nomina, richiede espressamente che si tratti, in ogni caso, di soggetti di “riconosciuto prestigio e competenza professionale e di notoria indipendenza di comportamenti”.
Ancora una volta, come vuole la tradizione, sono state, invece, le logiche spartitorie e di appartenenza partitica ad avere la meglio, nella lotta per l’accaparramento dei posti in prima fila della nota azienda di viale Mazzini, lotta in cui non sono mancati colpi bassi.
Tre mesi e mezzo (il vecchio C.d.A. era infatti scaduto lo scorso 28 marzo) prima che, sfiorata persino l’ipotesi di un commissariamento, si arrivasse alla votazione definitiva, in un susseguirsi di episodi che hanno provocato un vero e proprio terremoto istituzionale, in cui sono state letteralmente calpestate le regole base di una democrazia.
E’ evidente come il condizionamento della società a cui lo Stato ha affidato il compito di erogare il servizio pubblico radiotelevisivo resta una delle priorità nei programmi di partito: obiettivo di tutti, nessuno escluso, è il controllo di uno degli strumenti più efficaci per veicolare il consenso, la televisione pubblica.
Toccherà quindi agli uomini e alle donne scelti dall’azionista di riferimento, Marco Pinto e Anna Maria Tarantola, cercare di assicurare, quanto più possibile, che sia garantito il pluralismo nell’informazione ed evitare sbandate a destra o a sinistra.
E la stessa neopresidente sembra averlo bene a mente “nell’affrontare questo impegnativo e delicato incarico” – dichiara in un comunicato diffuso poche ore dopo la sua nomina – “ho ben presente la speciale natura dell’azienda Rai che le viene dall’essere anche servizio pubblico, condizione questa che richiede una particolare cura alla qualità del prodotto, alle competenze, alla cultura” e poi prosegue “intendo esercitare tale mandato con equilibrio, indipendenza e trasparenza“.
Equilibrio, indipendenza e trasparenza, dunque; questo il suo motto.
Un motto che lascia ben sperare.
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