Tra i vari suggerimenti, vi è l’obbligo del preventivo scritto da produrre in giudizio. Il Cds ha infatti proposto di “inserire nell’articolo 1 un nuovo comma che preveda l’obbligo per il professionista di produrre in giudizio il preventivo di massima reso al cliente e che la mancata produzione, o comunque l’assenza di prova sull’aver fornito il preventivo di massima, costituisca elemento di valutazione negativa del giudice al fine della riduzione del compenso da liquidare”. Ciò al fine “ di rendere chiaro fin dall’inizio nel rapporto tra professionista e cliente il corrispettivo per l’attività da svolgere”. Ha chiesto, inoltre, al Ministero di Giustizia di evitare che i nuovi parametri si prestino a fungere da tariffa mascherata, invitandolo a stralciare dal testo, i cosiddetti parametri a forbice, che presentano cioè un valore minimo e uno massimo, per dare maggiore risalto, invece, al metodo del valore medio da cui sarà poi il giudice a decidere se e quanto scostarsi.
Infine, il Cds ha sottolineato che l’adeguamento, previsto dal regolamento ministeriale, delle vecchie tariffe secondo gli indici Istat, da utilizzare come base di partenza per il calcolo dei compensi, non deve necessariamente essere pienamente corrispondente all’incremento Istat per le professioni liberali e che viceversa può essere contenuto in una misura, più bassa, considerato il momento di grave crisi economica e finanziaria del Paese.
Se già le reazioni al decreto legge erano state tutt’altro che positive, il parere del Consiglio di Stato non ha certo contribuito ad ingerire più facilmente la pillola. “Futuro nero” denuncia il segretario dell’Associazione nazionale forense, Ester Perifano, preoccupata soprattutto dell’adeguamento delle vecchie tariffe “Basta qualche semplice calcolo per appurare che, in particolare per il settore civile, i parametri ministeriali rimangono lontanissimi dall’adeguamento al mutato costo della vita delle vecchie tariffe, ormai risalenti al 2004. In alcuni casi, l’abbattimento raggiunge il 50%”.
Tutto ciò sembrerebbe essere a discapito dei professionisti più giovani, che alla luce di tali parametri (punti di riferimento non solo nei rapporti tra privati ma anche negli appalti pubblici), si vedranno riconoscere esclusivamente i compensi liquidati in via giudiziale.
Di tutt’altro colore è l’opinione del presidente nazionale tributaristi Lapet Roberto Falcone, il quale ha accolto con molto soddisfazione l’obbligo del preventivo scritto. Da tempo infatti i tributaristi sostenevano la necessità dell’obbligo di sottoscrizione del mandato professionale. Ad avviso di Falcone “L’obbligatorietà del preventivo suggerita dal Consiglio di Stato giunge a dare ulteriore conferma al nostro convincimento. L’accordo scritto configura da un canto una garanzia di trasparenza ed equità per l’utente, dall’altro una tutela per il professionista, tale da consentirgli di superare in sede giudiziale, con estrema facilità, l’onere probatorio, ottenendo l’immediata esecuzione delle sue prestazioni creditizie”.
Ma per l’ANF (associazione nazionale forense), invece, il nuovo sistema continua a destare molta preoccupazione: “Siamo al limite dell’elemosina”, tuona sarcasticamente la Perifano.
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