La solita storia italiana, ci parlano delle intenzioni della Minetti e delle bottiglie di Balotelli (un posto dove mandare entrambe c’è) ma non mettono, in prima pagina almeno un giorno su mille, l’iniziativa di Unione Popolare, il movimento civile che ormai da mesi si sta sgolando per far firmare al Paese intero l’istituzione di un referendum abrogativo sui privilegi della casta.
Allora, ricapitoliamo: questi cittadini, stufi di pagare le tasse per gli stipendi d’oro di parlamentari e senatori, hanno smesso di lamentarsi al bar, alla cassa del supermercato o, ancora peggio, di fronte a una puntata di Matrix o di Porta a Porta. E hanno deciso di agire. Quindi, nel pieno rispetto della Costituzione (articolo 75), si sono adoperati per una raccolta firme su scala nazionale atta ad istituire un referendum abrogativo per l’articolo 2 della legge 1261 del 1965 che disciplina le indennità spettanti ai membri del Parlamento e che, nello specifico, definisce i compensi relativi alla diaria ed alle spese di soggiorno a Roma dei parlamentari stessi.
Verrebbe da dire: una spending review immediata e senza effetti collaterali, visto che “lorsignori”, ogni qualvolta si recano nella Capitale, percepiscono qualcosa come 3.503 euro (e 11 centesimi). L’aereo in business e l’attico a 4 stelle in via Montenapoleone hanno i loro vantaggi, ma evidentemente anche i loro costi: attenzione, perché qui non si parla degli stipendi ma di un rimborso extra. Comunque sia, in caso di abrogazione della ‘cosa’, si arriverebbe a risparmiare qualcosa come 48 mila euro all’anno per ogni deputato e senatore: forse, ma dico solo forse, da qualche altra parte si potrebbe poi evitare di potare alla cieca.
Il tempo stringe, ma la trasparenza anche. Perché se è vero che Unione Popolare fa sapere di aver raccolto, sino ad oggi, circa 200 mila firme, è altrettanto necessario arrivare a 500 mila entro venerdì 27 per rendere operativo un referendum che, all’atto del malcontento popolare, non dovrebbe a sfuggire all’unica soluzione del “si”. Tutto chiaro? Ma dai, siamo in Italia baby. Piuttosto, è nebbia fitta, tipo fine febbraio in Valpadana per intenderci. C’è il mistero che sia tutto falso, tutto artefatto: pare che nei comuni atti a raccogliere le adesioni i moduli per le suddette non ci siano, o siano insufficienti e incompleti.
Sulla pagina Facebook della petizione, è pure scattata una polemica sul fatto che ci sia sotto una specie di complotto, visto che da qualche parte si scorge la possibilità (non l’obbligo) di effettuare donazioni tramite bonifico. Per non parlare di quel che, anche a Rimini dove vivo io, ti rispondo gli impiegati comunali: “Ma…boh…mah…quale referendum?”. Se ti va bene, potresti trovare un modulo: ma in una città da minimo 25.000 abitanti, un solo modulo è un po’ poco. “I moduli sono stati spediti” – assicurano quelli di Unione Popolare – . Continueremo a raccogliere firme fino all’inizio di gennaio, per poi presentare i quesiti alla Corte di Cassazione. E’ tutto valido, andiamo avanti”. Fine luglio, gennaio, Cassazione: troppa confusione. L’idea è vincente, ora bisognerebbe capire se c’è chi la sta boicottando o se, semplicemente, non è ‘serissima’: un salto su Facebook, dove si possono chiedere informazioni e/o spiegazioni, è quantomeno necessario. Chi ne sa di più, ci informi. Così magari scavalchiamo la Guinea Orientale nella classifica della nitidezza…
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