Nessun risparmio di spesa, al momento, il beneficio è tutto da quantificare.
Con buona pace di quanti ancora oggi si ostinano ad illustrare e divulgare risparmi straordinari dalla soppressione delle Province.
Il riferimento incontrovertibile è ricavato dalla relazione tecnica del Governo al decreto legge 6 luglio 2012 n. 95 che in merito all’art. 17 sulle Province così spiega:
“Si tratta di una norma procedurale e, pertanto, non è possibile allo stato attuale quantificarne gli effetti finanziari, posto che questi potranno essere rilevati solo successivamente, al completamento dell’iter.
La disposizione normativa, in ogni caso, avrà effetti virtuosi in considerazione dei risparmi di spesa che deriveranno dalla riduzione del numero delle circoscrizioni provinciali.
Le disposizioni contenute nei commi da 6 a 9, che, in attuazione dell’art. 23 comma 18 del decreto legge n. 201 del 2011, come convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, trasferiscono ai Comuni tutte le funzioni riguardanti le materie di legislazione esclusiva statale già conferire alle province, comportano prospettive di maggiore integrazione funzionale con le funzioni già di competenza comunale. La norma non è suscettibile di produrre oneri in quanto contestualmente al trasferimento delle funzioni, saranno trasferiti altresì i beni e le risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative. L’effettiva quantificazione dei risparmi di spesa sarà possibile solo dopo l’individuazione delle singole funzioni, da effettuare con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri da adottarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto”.
Pertanto, scrive il Governo:
a) Non è possibile quantificare gli effetti finanziari della riforma;
b) Sarà possibile fare una verifica dei dati solo ad iter ultimato;
c) Il trasferimento ai Comuni delle funzioni amministrative già assegnate dallo Stato alle Province non comporta oneri;
d) La quantificazione degli eventuali risparmi sarà possibile solo dopo l’individuazione delle singole funzioni.
Ma allora ci chiediamo perché ancora una volta il Governo ha deciso di procedere con decretazione d’urgenza quando:
a) Non si è ancora effettuata neanche la ricognizione delle funzioni da trasferire;
b) Non si conoscono i risparmi;
c) Si afferma genericamente soltanto che non ci saranno nuovi oneri.
Dov’è rinvenibile, nelle norme ordinamentali sulle Province, “la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni, nell’ambito dell’azione del Governo volta all’analisi ed alla revisione della spesa pubblica, per la razionalizzazione della stessa, attraverso la riduzione delle spese per acquisti di beni e servizi, garantendo al contempo l’invarianza dei servizi ai cittadini, nonché per garantire il contenimento e la stabilizzazione della finanza pubblica, anche attraverso misure volte a garantire la razionalizzazione, l’efficienza e l’economicità’ dell’organizzazione degli enti e degli apparati pubblici” dichiarata dal Governo per legittimare il ricorso alla decretazione d’urgenza ai sensi dell’art. 77 della Costituzione?
Ancora una volta il Governo, attraverso la decretazione d’urgenza è intervenuto su una materia, qual è certamente quella in questione, senza i presupposti di necessità ed urgenza e per lo più sottratta alla sua disponibilità.
L’art. 14 della l. n. 400/88 ha espressamente chiarito che non possono formare oggetto di decretazione d’urgenza da parte del Governo le materie previste dall’art. 72, comma 4, della Costituzione, tra le quali sono incluse le norme di carattere costituzionale o elettorale.
Non può nemmeno giustificarsi la straordinarietà e l’urgenza con aspetti di tipo economico-finanziario e “di sospendere l’incremento dell’imposta sul valore aggiunto, già disposto dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nonché di garantire le necessarie risorse per la prosecuzione di interventi indifferibili” visto che è impossibile quantificare gli eventuali risparmi.
Ma al di là degli aspetti formali e di legittimità costituzionale, preme sottolineare un aspetto di merito che riteniamo fondamentale.
Nella stessa relazione tecnica del Governo, riferita all’art. 18 del decreto legge che prevede l’istituzione delle città metropolitane, si legge:
“La norma che istituisce dieci città metropolitane in luogo delle rispettive province persegue finalità di efficacia ed efficienza, attraverso il conferimento alle medesime Città metropolitane di funzioni ulteriori rispetto a quelle provinciali, a garanzia anche di una ottimale integrazione delle funzioni.
La norma è formulata in maniera da garantire l’invarianza della spesa. Contribuiscono a tal fine le disposizioni atte a prevedere il trasferimento del patrimonio e delle risorse umane, finanziarie e strumentali delle Province alle città metropolitane nonché il comma 10 che prevede la gratuità delle cariche di consigliere metropolitano, sindaco metropolitano e vicesindaco”.
Soffermiamoci sulla prima parte.
Il Governo ritiene che l’istituzione delle Città Metropolitane garantisce finalità di efficacia ed efficienza perché attribuisce alle stesse, al posto delle soppresse Province:
a) Le funzioni delle Province stesse;
b) Ulteriori funzioni a garanzia di una ottimale integrazione delle stesse:
pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali;
strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, nonché organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano;
mobilità e viabilità;
promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale.
La motivazione del Governo è ampiamente condivisibile.
Ma allora ci chiediamo:
Perché mai nell’area metropolitana di Bologna (998.000 abitanti), Reggio Calabria (566.000 abitanti), Genova (900.000 abitanti), Bari (1.200.000 abitanti) etc. dovrebbe rispondere a finalità di efficacia ed efficienza istituire un ente intermedio tra Regione e Comuni, con le funzioni della Provincia integrate con altre di area vasta, e lo stesso principio non vale per Province come Verona, Treviso, Vicenza, Padova, solo per restare in Veneto, con una media di 900.000 abitanti ciascuna?
Va ricordato infatti che ai sensi dell’art. 18, comma 2, del D. L. 95/2012 “Il territorio della città metropolitana coincide con quello della provincia contestualmente soppressa”.
Ed alcune delle città metropolitane previste, come appunto Bologna, Reggio Calabria o Genova, hanno un numero di abitanti inferiore a quello di molte Province di cui si paventa la soppressione o certamente lo svuotamento parziale di funzioni.
Perché mai per i cittadini della Provincia di Venezia è più efficiente che ad occuparsi di “promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale” sia la città metropolitana e per i cittadini confinanti della provincia di Padova è più efficiente che se ne occupino i Comuni o la Regione.
E’ chiaro che la città metropolitana ha senso soltanto se gestisce un territorio omogeneo, con problematiche comuni, non semplicemente per successione universale alla corrispondente soppressa Provincia.
Piuttosto sono proprio le considerazioni del Governo nella relazione tecnica ad imporre una riflessione attenta che parta dalle competenze, da una valutazione effettiva di efficienza ed efficacia della loro gestione, prima di fissare per decreto legge la soppressione di un certo numero di Enti nell’assoluta incertezza dei benefici sotto ogni punto di vista.
Sarà agevole verificare che alcune delle funzioni oggi svolte dalle Province potranno trovare più efficiente allocazione nei Comuni: si pensi ad esempio alle residue funzioni in materia di trasporto scolastico o di assistenza ai disabili.
Sarà altrettanto agevole verificare che funzioni peraltro già in gran parte individuate dalla Legge 5 maggio 2009 n. 42 quali:
a) Istruzione pubblica, ivi compresa l’edilizia scolastica per l’istruzione secondaria superiore;
b) Trasporti;
c) Gestione del territorio, viabilità e pianificazione territoriale;
d) Ambiente;
e) Tutela della fauna;
f) Sviluppo economico, mercato del lavoro, Centri per l’Impiego;
g) Formazione professionale;
h) Organizzazione dei servizi pubblici locali su base provinciale (vedi da ultimo l’art. 53 del D. L. 22 giugno 2012 n. 83);
trovano senz’altro la migliore allocazione in un ente intermedio, di dimensioni territoriali e di popolazione adeguata, quali dovrebbero essere le nuove Province.
Liberiamoci, nell’individuazione del migliore assetto istituzionale, dalla decretazione d’urgenza.
Solo così si potrà avviare una riflessione seria e approfondita e giungere a decisioni razionali e praticabili.
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