Il Testo fondamentale, conformemente alla sua ispirazione non solo di riconoscimento ma soprattutto di promozione delle autonomie locali territoriali (art. 5 Cost.), impone che ogni ipotesi modificatoria prenda avvio dal basso, “su iniziativa dei Comuni”, come recita l’art. 133, comma 1, Cost. e non dallo Stato. A quest’ultimo, pertanto, spetta unicamente un ruolo di garanzia, ossia verificare che l’eventuale revisione delle circoscrizioni provinciali esistenti o il loro accorpamento siano o meno conformi all’interesse generale. Stando, quindi, alla lettera della norma costituzionale, sarebbe precluso a priori un qualunque intervento statale volto a predeterminare le condizioni idonee a garantire la sopravvivenza dell’ente provinciale.
Il decreto-legge n. 95/2012, invece, reca un’articolata procedura che, sebbene voglia coinvolgere Regione ed enti locali nell’applicazione dei parametri indicati dall’Esecutivo, fuorisce dal procedimento indicato all’art. 133, comma 1, Cost.
Infatti, l’iter procedurale previsto dal provvedimento sulla spending review delinea un percorso il cui contenuto è già precostituito dal Governo e non è affatto rimesso alla libera ed autonoma iniziativa dei Comuni come, del resto, contempla l’art. 133, comma 1, della Costituzione. Inoltre, vengono fissati due criteri alla cui stregua dovranno effettuarsi gli accorpamenti: la dimensione territoriale e la popolazione residente. La dettagliata definizione di tali criteri è poi rimessa ad un successivo provvedimento del Consiglio dei Ministri da emanarsi entro 10 giorni dall’entrata in vigore del decreto. Ora, questi criteri devono essere coerenti con l’obiettivo che si intende perseguire, cioè la riduzione della spesa pubblica.
Se questa, allora, è la ragione, perché la soppressione non è generalizzata? Perché si dovrebbero salvare solo le Province che soddisfano i criteri arbitrariamente prefissati? Il progetto governativo, in realtà, si rivela manchevole proprio sotto il profilo della coerenza della differenziazione legislativa. Forse aveva ragione il filosofo austriaco Ludwing Wittggenstein (1889-1951): “su ciò di cui non si sa, sarebbe meglio tacere”.
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