Tizio promuove, così, formale domanda dinanzi al Tribunale, chiedendo espressamente alla X S.p.a., ritualmente convenuta, il risarcimento del danno per il sinistro causato dalla buca.
Il Tribunale preposto rigetta la richiesta dell’attore. Promosso ricorso in appello, la Corte conferma la pronuncia di primo grado, ascrivendo la responsabilità esclusiva a carico dell’attore-automobilista. Tizio propone successivo ricorso in Cassazione: la Quale afferma espressamente che il medesimo ricorso risulta essere inammissibile…
Ebbene, l’art. 2051 c.c., ‘’ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose in custodia, salvo che provi il caso fortuito’’, ‘’è destinato a regolare le ipotesi in cui la res abbia assunto ai fini della produzione del danno un’autonoma efficienza causale, indipendentemente dall’azione dell’uomo (…)’’.
L’orientamento iniziale, in materia, prevede una presunzione, iuris tantum, di colpa a carico del custode. In parallelo, un indirizzo giurisprudenziale, divenuto prevalente negli ultimi anni, afferma che: ‘’la prova dell’intervento di un fatto esterno imprevedibile ed inevitabile (forza maggiore, fatto del terzo o fatto del danneggiato) cui è eziologicamente riconducibile il danno vale sostanzialmente ad attestare l’assenza di colpa in capo al custode’’ (Cass., Sez. III, 20 febbraio 2006, nr. 3651). Dunque, secondo questo iniziale indirizzo, si ha la responsabilità del custode laddove questi non riesca a fornire la prova del fortuito: responsabilità, quindi, fondata su un giudizio di colpa.
La dottrina maggioritaria ha, fortemente, criticato quest’ultima impostazione, che ravvisa nell’art. 2051 c.c. una presunzione di colpa del custode fondata sul dovere di vigilanza della cosa. In particolare, si è osservato che ‘’il profilo del comportamento del responsabile è di per sé estraneo alla natura dell’imputazione; né può esservi reintrodotto attraverso la figura della presunzione di colpa per mancata diligenza della custodia, giacchè la nozione di caso fortuito è generalmente legata alla valutazione di un fattore meramente oggettivo capace di elidere il nesso causale tra fatto e danno’’. E’ stata così affermata la natura oggettiva della responsabilità da cose in custodia. La giurisprudenza, con una pronuncia delle Sezioni unite della Corte di Cassazione del 1991 (Cassazione 11 gennaio 1991, nr. 12019), evidenzia che: ‘’il solo limite previsto dall’art. 2051 c.c. è l’esistenza del caso fortuito ed in genere si esclude che il limite del fortuito si identifichi con l’assenza di colpa. Potrebbe, quindi, essere affermata la natura oggettiva della responsabilità per danno da cose in custodia (…)’’. L’effetto della sentenza, appena espressa, è stato ‘’dirompente’’, producendo un definitivo cambiamento in giurisprudenza.
In relazione all’orientamento vigente, si segnalano ulteriori due sentenze, cc.dd. ‘’gemelle’’, della Corte di Cassazione, depositate il 6 luglio 2006 (nr. 15383 e 15384), le quali affermano che: ‘’la responsabilità ex art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo e, perché tale possibilità possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, per cui tale tipo di responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito; fattore che attiene al profilo causale dell’evento, riconducibile ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità e che può essere costituito anche dal fatto del terzo o dello stesso danneggiato (…)’’. Inoltre, in relazione alla prova del caso fortuito emerge che: ‘’può essere fornita anche mediante presunzioni semplici, purchè chiare, precise e concordanti: la corretta manutenzione del beneunita ad ulteriori circostanze idonee a far ritenere la ricorrenza di un fattore causale estraneo alla sfera del custode sono sufficienti a far ritenere raggiunta la prova del caso fortuito’’.
Recentemente, la Corte di Cassazione, Sez. VI, ordinanza nr. 10220/2012, ha affermato che: ‘’la velocità eccessiva, rispetto allo stato dei luoghi, realizza una condotta imprudente: ‘’nessun risarcimento’’ per l’automobilista che si ritrova l’auto danneggiata dopo essere finito in una grossa buca’’. A dire della Corte, nel caso specifico, ‘’non vi sono elementi per fondare obiettivamente un giudizio di colpa della S.p.a. autostrade, sul relativo tempo trascorso fra l’asserita comunicazione dell’esistenza della buca e l’ora dell’incidente, non essendovi alcun dato che consenta di valutare quali siano i tempi tecnici adeguati (…)’’.
Insomma, ad oggi, si parla di ‘’rischio’’ da custodia, più che di colpa da custodia. Ma ci si chiede: il richiedere il caso fortuito, quale prova liberatoria, equivale a ritenere ‘’insignificante’’, nel senso esteso del termine, ogni tipo di colpa soggettiva? Nella gestione di una cosa ‘’essenziale-collettiva’’, come un’autostrada!, le regole tecnico-cautelari, relative ad una corretta manutenzione del bene, imposte al custode dovrebbero essere, in qualche modo, più intense? La collettività, gli utenti potrebbero ‘’aspirare’’ ad un controllo assiduo della sede autostradale da parte del/i custode/i incaricato/i?
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