La decisione trae origine da un caso spagnolo in cui una banca aveva chiesto al Giudice l’emissione di un’ordinanza ingiunzione nei confronti di un proprio cliente a fronte della mancata restituzione di un prestito concesso per l’acquisto di un’autovettura.
Il Giudice investito del ricorso aveva però dichiarato d’ufficio la nullità del clausola sugli interessi di mora, rideterminandone il contenuto attraverso l’indicazione di un tasso di interesse più basso e ordinando alla ricorrente di ricalcolarne l’ammontare su tali nuove basi.
Contro la decisione ha proposto appello la banca davanti alla Audencia Provincial de Barcelona che ha quindi demandato alla Corte di Giustizia la soluzione di due questioni pregiudiziali: i) se è compatibile con il diritto comunitario una normativa interna che impedisca al giudice della fase monitoria di rilevare d’ufficio la nullità di eventuali clausole vessatorie; ii) se in base alla Direttiva 93/13/CEE sulle clausole vessatorie è ammissibile il potere del Giudice di riformulare il contenuto di una clausola vessatoria, riportandola ad equità.
Sulla prima questione la Corte si è pronunziata affermando il principio per cui i giudici sono tenuti ad esaminare d’ufficio l’eventuale vessatorietà delle clausole contenute nei contratti con i consumatori a partire dal momento in cui dispongono degli elementi di fatto e di diritto per farlo.
Ciò significa che anche nella fase monitoria il giudice deve disapplicare le clausole vessatorie, eventualmente respingendo il ricorso che si fondi su una pattuizione in grado di determinare una squilibrio contrattuale in danno del consumatore. Tale verifica, prosegue la Corte, non può essere rinviata alla successiva fase dell’opposizione in quanto questa ha un carattere meramente eventuale: il rischio da scongiurare è quindi quello che le clausole vessatorie trovino effettiva applicazione nei rapporti tra le parti ogniqualvolta il consumatore rinunci per una qualsiasi ragione (economica, scarsa conoscenza dei propri diritti, etc…), a far valere le proprie ragioni nel giudizio di opposizione.
In termini di diritto interno la sentenza della Corte di giustizia dovrebbe tradursi in una maggiore attenzione da parte dei nostri giudici al momento dell’esame di ricorsi per decreto ingiuntivo fondati su contratti conclusi con i consumatori, al fine di disapplicare immediatamente le eventuali clausole vessatorie contenute al loro interno.
Quanto alla seconda questione, la Corte esclude la possibilità che il giudice interno possa essere munito di poteri equitativi strumentali alla riformulazione del contenuto di una clausola vessatoria in modo tale da renderla legittima e quindi efficace fra le parti. Per la Corte, di fronte a una clausola vessatoria il giudice interno non può percorrere una strada diversa da quella della sua disapplicazione, lasciando in piedi la restante parte del contratto qualora questo funzioni anche senza la clausola da eliminare.
Anche questo principio potrebbe trovare applicazione all’interno del nostro ordinamento in quelle ipotesi in cui il giudice è comunque munito di poteri equitativi mediante i quali può intervenire sul contenuto del contratto: si pensi, ad esempio, alla possibilità per il giudice di ridurre l’ammontare di una penale manifestamente eccessiva.
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