Succede che nel bel mezzo della notte, squilli il telefono. E che lei, diretta interessata, risponda, ma subito passi il telefonino al compagno, che dorme al suo fianco, un po’ perché sorpresa dall’anomala telefonata notturna, un po’ perché troppo addormentata per capire cosa stia realmente accadendo.
E succede che dall’altra parte del telefono, non giunga nient’altro che una serie infinita di offese e insulti.
Autore degli osceni improperi è un ex compagno di scuola della ragazza che, covando evidentemente una rabbia repressa, ha deciso di farle sapere “in notturna” cosa pensa davvero di lei, liberando i propri impulsi tenuti a bada per chissà quanto tempo e ricoprendo la ragazza di ingiurie tali da far impallidire uno scaricatore di porto livornese.
Se è vero che la notte porta consiglio, l’ex compagno di scuola sicuramente è stato ispirato (o spronato?!) da una luna alquanto bizzarra.
Succede così che un Giudice di Pace ritenga responsabile il nottambulo centralinista del reato di ingiuria.
Ma succede anche che la Suprema Corte di Cassazione, a cui ha fatto ricorso l’imputato contestando la sussistenza del reato, dia una diversa interpretazione del fatto.
Vale la pena precisare che il reato d’ingiuria, previsto dall’art. 594 del c.p., punisce chiunque offende l’onore e il decoro di una persona presente.
La presenza della persona offesa, dunque, non necessaria per esempio nel reato di minaccia ex art. 612 c.p., (essendo qui sufficiente che la stessa sia venuta a conoscenza del soggetto cui è rivolta) lo è invece nel reato di ingiuria, del quale costituisce elemento costitutivo. La punibilità è estesa anche alle offese trasmesse con comunicazioni a distanza, ossia telefono, come nel caso de quo, scritti o disegni diretti alla persona offesa. In proposito si ritiene che tale presenza deve essere effettiva e che il soggetto offeso, anche se materialmente non visibile dal soggetto agente (si pensi al caso in esame), sia in grado di percepire le espressioni lesive a lui rivolte.
Il reato di ingiuria, peraltro, si perfeziona anche nell’ipotesi in cui l’offesa sia formulata per mezzo del telefono o di lettera ad una terza persona, ma ciò solo se “v’è in carico di riferirla al destinatario e l’incarico sia fedelmente adempiuto ovvero se l’agente abbia avuto in dubbia consapevolezza che l’offesa sarebbe stata comunicata al destinatario” (cfr. Cass. Sez. II, 17 ottobre 1961; 19 aprile 1958).
Non integra dunque il reato di ingiuria la condotta di colui che mediante il telefono, pronuncia frasi offensive a carico di una terza persona, senza dare alcun incarico al suo interlocutore di riferirle a questa.
La Suprema Corte con la sentenza n. 16050/2012 esclude pertanto nel caso in esame il reato d’ingiuria, poiché “oltre a non essere avvenuto il fatto in presenza della persona offesa, questa aveva altresì dichiarato di non aver percepito l’offesa, avendo subito passato al compagno il telefono cellulare”. Secondo la stessa narrazione della ragazza, infatti, non era stato da lei neanche lontanamente percepito nulla di quanto stava accadendo, poiché si era affrettata a passare la cornetta del telefono al compagno.
Scartata dunque l’ipotesi della materialità dell’ingiuria, la Cassazione riconduce la fattispecie alla contravvenzione di art. 660 cod. pen., in virtù del disturbo arrecato, a parere della Corte, “per biasimevole motivo, a persone immerse nel sonno”.
Risultato: annullamento della sentenza di condanna, senza rinvio perché il reato nel frattempo si è estinto per prescrizione.
Non ci resta pertanto che essere “vigili” anche di notte per comprendere il giusto significato delle parole, per evitare così che qualche ex compagno, in certe notti magari più allegro, più ingordo, o più ingenuo che mai, possa scurrilmente sfogarsi e farla franca!
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