Terremoto: detenuti per la ricostruzione?

Messina, 28 dicembre 1908 ore 5.21, il cataclisma universale.
La mia bisnonna e le sorelle di mio nonno, Norma ed Artura, rimasero sepolte sotto le macerie. Mio nonno e il mio bisnonno, impazziti di dolore ed inseguiti dalle onde dello Stretto di Messina, fuggirono nelle campagne circostanti.
Giovanni Pascoli scrisse: “qui, dove tutto è distrutto, rimane la poesia”

… la storia si ripete …

E’ notizia di questi giorni che il Ministro di Grazia e Giustizia Paola Severino, in occasione del terremoto che ha colpito l’Emilia Romagna, si sia recata nel carcere di Bologna “Dozza” per trovare i detenuti e per disporre alcune importanti misure precauzionali: spostamento di circa 350 detenuti nelle carceri di altre regioni; apertura delle celle, sia di notte che di giorno, al fine di permettere eventuali fughe in emergenza.

Pare che il Ministro si sia pronunciata anche sull’eventuale possibilità di autorizzare i detenuti (almeno quelli con pene più lievi, o già ammessi al regime di semilibertà) a partecipare ai lavori per la ricostruzione delle zone colpite dal sisma.

E’ certamente bello pensare che possa, finalmente, trovare attuazione pratica il terzo comma dell’art. 27 della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Non c’è rieducazione più sana del lavoro …

Al di là, però, dell’onda emozionale, non riesco a frenare lo sgorgare di alcune amare riflessioni e mi chiedo, senza inibizioni di forma o di consueta galanteria culturale:
per i detenuti qualcuno ci sta pensando e si sta anche preoccupando del loro “diritto al lavoro” – circostanza che tutti possiamo accogliere come eticamente accettabile – ma, per i milioni di disoccupati che hanno il solo torto di avere vissuto onestamente e di essersi ritrovati oggi in un Paese derubato da decenni di mal governo, chi ci pensa?

I detenuti – almeno loro – si addormentano a stomaco pieno.
Ma quanti sono i disperati che si buttano giù dai ponti perché non hanno nulla da mettere sulla tavola per i loro figli?
Quanti – operai, muratori, netturbini, ebanisti, pittori, idraulici, falegnami – si taglierebbero un dito pur di recuperare un anno di lavoro a piaga piena?
Quanti sarebbero disposti a trasferirsi in un’altra regione (terremotata, o non, che sia) pur di guadagnare qualche ora di cottimo?
Quanti, giovani disperati dell’Africa del nord, muoiono nei flutti del mare in tempesta nella speranza di raggiungere un misero lembo di terra dove potere raggranellare un paio di giorni di lavoro campestre?

Non dimentichiamo mai che eventi come quello che oggi sta colpendo l’Emilia Romagna hanno rappresentato disgraziata ed inerte preda di politici ed amministratori ingordi; e ricordiamo sempre che milioni e milioni di donazione della gente comune è andata, troppo spessa, dispersa e perduta in buchi neri, il cui fondo non è stato mai raggiunto, né è mai stato possibile individuare e punire seriamente chi ha compiuto tali schifosi sciacallaggi.

La ricostruzione di un territorio è un’occasione importante di lavoro per tutti, deve essere così. E forse sarà anche importante che i detenuti diano una mano d’aiuto – qui come in qualunque altro luogo dove possano emendare le loro colpe – ma… la salvaguardia di chi ha vissuto e lavorato onestamente rimanga al primo posto, sempre e con precedenza su tutto e tutti…

Franzina Bilardo

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