Oggetto di tale ricorso sono i criteri di definizione della certificazione “made in EU“, la quale assicura un incentivo del 10% alle aziende produttrici di celle e moduli europei nel campo dell’energia solare.
Secondo il Gestore dei servizi energetici, potrebbero accedere al premio del 10% anche i moduli in silicio realizzati al di fuori dell’Unione Europea, a patto che essi contengano almeno un componente prodotto nell’àmbito dell’UE. Di conseguenza, la potente azienda cinese Trina Solar ha reso noto e dimostrato, per incassare il premio, che i propri prodotti fotovoltaici contengono almeno il 60% di componentistica europea.
Nessuna meraviglia, dunque, se i produttori italiani di pannelli solari stanno chiedendo a gran voce la revisione di una normativa dagli effetti paradossali, inizialmente varata a sostegno dell’industria italiana in crisi, ma così assurdamente tradita, in fieri, nel proprio spirito essenziale. Non va pure dimenticata l’intrinseca pericolosità commerciale di un tale incentivo alle aziende del Sol levante, qualora si consideri come l’industria cinese copra già, coi propri moduli fotovoltaici, il 60% del mercato italiano delle installazioni…
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