Gli eventi stanno facendo precipitare tutti i credo, oramai sotto le suole. Nessuno è indenne dal triste convincimento che i denari pubblici possono essere oramai usati alla bisogna dei rappresentanti, a discapito dei diritti dei cittadini, progressivamente in malora.
E’ in disarmo il sistema istituzionale.
Ovunque si prende senza dare.
Ovunque si fa ciò che non si deve.
Ovunque si registra una qualità dei servizi non propriamente accettabile, fino ad arrivare a livelli da terzo mondo. Regioni, Province e Comuni sono tutte in crisi esistenziale, nel senso che difficilmente garantiscono ciò che devono, fatto salvo qualche privilegio di troppo in favore degli eletti. Regioni come la Lombardia offesa da quei tanti – spesso poco rappresentativi persino del buon gusto – che avranno il dovere di difendersi pubblicamente da accuse infamanti, ma soprattutto nelle aule di giustizia. Con ciò restituendo dignità ai partiti/movimenti che li hanno designati, sempre che ne abbiano conservato almeno un pezzettino
Grandi “difetti” anche nei partiti, ove tesorieri e amministratori malversano con disinvoltura il denaro pubblico, concesso agli stessi a titolo di contributo elettorale, incuranti di tutto e di tutti (?). Un contributo del quale, francamente, non si capiscono le ragioni e non si comprende il perché debba essere ancora ai medesimi riconosciuto. Capi e leader politici (che poi non sono la stessa cosa!) che si dichiarano borderline, tra chi sapeva e chi no, ma anche tra chi ne ha approfittato e chi, invece, ha fatto finta di non sapere per tanto tempo, visti i risultati emersi in questi giorni.
Su tutto, i cittadini diventano sempre meno elettori, dilaniati come sono dalle speranze – che scompaiono – di occupazione per i loro figli ma pure per la loro permanenza al lavoro, che appare sempre più precaria (riforma del lavoro docet).
Il momento è grave, così come è greve il clima sociale che si sta determinando in ogni angolo del Paese.
In mezzo a tutto, cresce il dissenso, facile ad organizzare e a strumentalizzare e, in quanto tale, preda di chi ne saprà approfittare pro domo sua, ma non solo. Si avverte, infatti, un clima pesante, quasi irrespirabile, da quale potrebbe maturare un qualsiasi pericolo. Basta raccogliere i cocci e dare agli stessi una finalità costruttiva e il gioco è fatto (rectius, il dramma è tratto).
Troppi i suicidi per crediti, dimostrativi di una burocrazia, in senso lato, che non funziona, se non per gli interessi di chi la occupa, spesso indebitamente. Tanti anche quelli degli indebitati, più o meno cronici, che rinunciano alla vita, perché non ce la fanno più ovvero per sottrarsi all’impossibile.
Così facendo (meglio non facendo nulla, nonostante!), si favorisce la traduzione del dissenso in pericolose reazioni, più o meno organizzate, delle quali tutti ricordiamo (ahinoi!) gli effetti. Così come faceva il grande Giorgio Gaber nella canzone dal titolo “Qualcuno era comunista” che rappresenta un pezzo del suo testamento artistico-ideologico.
Occorre recuperare la fiducia nella politica, quella vera, che però (ri-ahinoi!) non c’è più, perché occupata da quelli di sempre, di molto peggiorati nel tempo, perché (alcuni) irriconoscibili e altri troppo uguali ai democristiani di ieri l’altro (rispettivamente, Bersani e Casini, docent).
Per fare questo bisognerebbe togliere di mezzo tutto ciò che offende la coscienza civile, affamata di perbenismo e di trasparenza, ma pure dei diritti sociali negati in una gran parte del Paese.
Prioritariamente, vanno cancellati i privilegi di cui godono i rappresentanti della collettività, che rappresentano sempre di meno i loro rappresentati, insediati nei diversi consessi esclusivamente per fare proprie le ricchezze pubbliche. Vanno eliminate le prebende milionarie messe a segno dai partiti che, approfittando di una assurda autogestione dei fondi assistita da controlli light, si godono i dobloni nelle più alte cariche, con facile estensione ai “bisogni” familiari.
Risorse pubbliche, queste, confuse persino nella loro mission, specie quelle destinate all’informazione e alla cultura, atteso che sono state soventemente destinate all’acquisizione (molto) onerosa di titoli di studio, altrimenti non conseguibili.
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