Così, proprio giovedì scorso si è tornato a discutere su di uno dei temi più caldi degli ultimi anni attraverso le due opposte versioni del ministro dell’ambiente, Corrado Clini, intervistato dal Corriere della Sera, e del presidente del Veneto, ex ministro dell’agricoltura, Luca Zaia.
In particolare, l’intervista rilasciata dal Ministro Clini ha suscitato il malcontento di chi si è sempre fermamente opposto all’ingresso dei prodotti transgenici nel nostro Paese: “Dico che in Italia bisogna aprire una seria riflessione che deve coinvolgere la ricerca e la produzione agricola sul ruolo dell’ingegneria genetica e di alcune possibili applicazioni degli Ogm“, risponde il ministro alla domanda del giornalista se l’Italia abbia o meno intenzione di aprire le porte agli Omg. L‘opinione di Clini è chiara sul punto:”In Italia la posizione contro gli Ogm è bipartisan e da sempre compromette, in generale, la ricerca sugli ingegneria genetica applicata all’agricoltura, e alla farmaceutica, e anche a importanti questioni energetiche. Un grave danno.“
Alle parole del ministro si associa Mario Guidi, presidente di Confagricoltura, il quale sostiene con determinazione l’opportunità di procedere con le sperimentazioni, riflettendo altresì sul ruolo del nostro Paese nell’ambito della ricerca internazionale, che sarebbe insensato declassare.
L’ex ministro dell’agricoltura Zaia è, invece, del parere opposto riguardo alla possibilità di introdurre in Italia prodotti geneticamente modificati, adducendo validi motivi, tra i quali soprattutto l’importanza di sostenere l’identità delle coltivazioni italiane, per lo più frastagliate e diversificate, e per ciò stesso specificamente connotate. Il presidente del Veneto non manca di sottolineare, inoltre, la volontà dei nostri agricoltori di non cedere al “ ricatto“ di un’agricoltura monoculturale caratterizzata da improbabili incroci tra regno vegetale e regno animale, rischio senz’altro di un‘alimentazione insalubre. Da non sottovalutare neppure, secondo quanto lamentato da Zaia, la garanzia di appartenenza della propria terra che nessuno sarebbe disposto a perdere in favore di agguerrite multinazionali.
E, a colorare la disputa etica tra coloro i quali sostengono l’innovazione e la sperimentazione, se non altro in quanto incentivare la ricerca promette prestigio e modernità, oltre alle nuove colture che arricchirebbero l’orizzonte alimentare, e chi, piuttosto, non transige sull’indispensabilità di mantenere il made in Italy, con un’attenzione particolare alla salute dell’ambiente e delle persone, arriva la proposta del Bcfn, il Barilla Center for food and nutrition, secondo il quale la risposta alle sfide future va cercata nella biotecnologia non transgenica.
“Le conoscenze scientifiche della moderna genetica potranno accelerare l’ottenimento di nuove varietà di sementi, in grado di dare risposte adeguate alle esigenze del mondo agroalimentare“, sostiene con forza il Gruppo, evidenziando la necessità di individuare “specifiche varietà adatte ai singoli contesti geografici“, in un’ottica di valorizzazione, dunque, dell’identità territoriale.
La biotecnologia, giova ricordarlo, è l’applicazione tecnologica che utilizza sistemi biologici, organismi viventi o di derivati di questi per produrre o modificare prodotti, ovvero creare processi per un fine specifico. E il Bcfn fa presente che “le colture biotech hanno occupato parte considerevole (10%) degli 1,5 miliardi di ettari che costituiscono la superficie agricola globale e il trend per i prossimi anni e’ in continua crescita“, non mancando di precisare quanto la crescita sia stata rapida negli ultimi anni. Secondo il Gruppo, gli Omg sarebbero, dunque, facilmente superabili non rappresentando affatto la miglior soluzione alle future sfide del mondo agroalimentare.
Il dubbio circa la reale opportunità di affidarsi all’ingegneria alimentare allo scopo di prevenire il rischio di una futura insufficienza dei prodotti della terra, si scontra inevitabilmente con le conseguenze che, senza voler essere catastrofici, ma semplicemente lungimiranti, potrebbe avere per l’alimentazione animale, nonché per l’ambiente, ingerire così drasticamente sulla Natura.
Non si tratta, dunque, solo di una questione etica tra chi propende per la scienza e chi, più tradizionalista, si barrica dietro il convincimento di una sorta di “guerra per forza“.
Il problema reale e concreto è stabilire quanto organismi geneticamente modificati possano incidere con effetti devastanti sul ciclo naturale della Vita e sulla salute e quanto possano piuttosto agevolare la ricerca di appropriate soluzioni alternative.
Dibattito, questo, che colpisce la coscienza di tutti e non può e non deve lasciarci indifferenti.
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