La normativa sui licenziamenti in Germania è, tuttavia, abbastanza analoga a quella italiana e si caratterizza per gli stessi strumenti di tutela che la legge prevede a favore del lavoratore. Essa si applica a tutti i lavoratori che abbiano un’anzianità di servizio di almeno sei mesi ed a tutte le imprese con più di cinque dipendenti.
Il lavoratore può essere licenziato soltanto quando ricorrano ragioni di tipo soggettivo, legate cioè alla persona od al comportamento del lavoratore, il quale deve aver posto in essere condotte colpose o dolose tali da far venir meno la fiducia del datore di lavoro e da non consentire, pertanto, la prosecuzione del rapporto lavorativo, oppure quando ricorrano ragioni di tipo economico, legate a modificazioni o riorganizzazioni dell’azienda.
In ipotesi di licenziamento senza giustificato motivo, l’ordinamento tedesco prevede la possibilità per il Giudice innanzi al quale sia stata sollevata la relativa controversia di disporre la reintegra del lavoratore nel proprio posto di lavoro, ferma restando la possibilità per il datore di lavoro di provare (nonostante l’illegittimità del licenziamento) l’impossibilità della prosecuzione del rapporto collaborativo.
In tal caso, il Giudice adìto, accertata l’illegittimità del licenziamento, può disporre lo scioglimento del vincolo contrattuale tra le parti e condannare il datore di lavoro al pagamento in favore del lavoratore di un’indennità, nella misura stabilita dalla legge.
Al riguardo, va chiarito che – secondo un risalente orientamento giurisprudenziale, nel caso in cui il Giudice di primo grado dichiari illegittimo il licenziamento, il lavoratore avrà diritto alla reintegra nel posto di lavoro fino a quando non sia concluso l’intero processo.
Ciò al fine di evitare che la soluzione risarcitoria costituisca il rimedio maggiormente utilizzato in sede giudiziaria, anche in casi nei quali sarebbe possibile la ripresa di un’efficace collaborazione tra datore e prestatore di lavoro.
Valeria Battaglia
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