L’eventuale turno di ballottaggio per l’elezione dei Sindaci avrà luogo nei giorni di domenica 20 maggio e lunedì 21 maggio 2012.
Ma se è certo che si voterà nei Comuni, sulle Province regna l’incertezza.
Sono già depositati ricorsi alla Corte Costituzionale da parte delle Regioni Piemonte, Lombardia e Veneto, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 23 della Legge 214/2011 di “riforma” delle Province.
Si annuncia un possibile contenzioso amministrativo con impugnazione al TAR del decreto di indizione delle consultazioni amministrative da parte delle Province che avrebbero dovuto rinnovare i propri organi per scadenza naturale o anticipata o anche da parte di cittadini, singoli o associati, residenti in tali territori, che si vedrebbero privati del loro diritto di elettorato attivo.
Ma era davvero necessario ed utile per il nostro Paese determinare il caos giuridico – amministrativo su un Ente costitutivo della Repubblica, con il rischio concreto di incidere negativamente su servizi e funzioni essenziali per i cittadini?
Non sarebbe stato più serio ed efficace avviare, con il concorso del sistema delle autonomie, una riforma organica del sistema, anche in tempi brevi, partendo dalla riforma del Testo Unico degli Enti Locali fermo da mesi in Commissione al Senato?
Ma torniamo alla vicenda elettorale.
Il Decreto del Ministro del 24 febbraio 2012 richiama la legge 7 giugno 1991 n. 182 contenente norme per lo svolgimento delle elezioni dei consigli provinciali, comunali e circoscrizionali e il testo unico sugli enti locali.
Richiama inoltre l’articolo 23 del decreto legge 6 dicembre 2011, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, “che non prevede un sistema di elezione diretta degli organi di governo delle province alla scadenza naturale o anticipata del rispettivo mandato”, presumibilmente per escludere dal decreto la convocazione dei comizi elettorali per l’elezione diretta dei Presidenti di Provincia e dei Consigli Provinciali nelle nove Province nelle quali si dovrebbe andare al rinnovo degli organi per scadenza naturale o anticipata degli stessi.
Va ricordato che in Sicilia, Regione a statuto speciale il cui Statuto, che ha valore di legge costituzionale, le attribuisce la competenza esclusiva in materia di “regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative” dovrebbero andare al voto le Province di Caltanissetta e Ragusa.
Dal sito ufficiale della Regione Sicilia si ricava che, fra gli Enti Locali interessati alla tornata elettorale amministrativa 2012, oltre ai 146 Comuni sono inserite anche le due Province.
Dunque in Sicilia si voterà? Non è ancora certo, perché l’Assemblea Regionale dovrebbe discutere un testo di riforma che sembra limitarsi a prevedere la riduzione del numero dei consiglieri.
Il presidente della Regione Sardegna ha emanato il decreto per l’indizione dei 10 referendum regionali, di cui cinque relativi alle Province, fissando la data del voto per il giorno 10 giugno 2012.
In questa situazione a dir poco confusa, alcune osservazioni sono d’obbligo.
1) L’art. 23 della Legge 214/2011 non modifica espressamente la Legge 7 giugno 1991 n. 182 che pertanto resta in vigore e prevede all’art. 1 che “Le elezioni dei consigli comunali e provinciali si svolgono in un turno annuale ordinario da tenersi in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno se il mandato scade nel primo semestre dell’anno ovvero nello stesso periodo dell’anno successivo se il mandato scade nel secondo semestre”;
2) Lo stesso art. 23 non modifica espressamente il D. Lgs. 267/2000 “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”, e specificamente gli art. 74 e 75 che disciplinano le modalità di elezione diretta del Presidente della Provincia e del Consiglio Provinciale, che restano pertanto in vigore, tralasciando di considerare che l’art. 1, comma 4, dello stesso Testo Unico formalmente precisa che: “le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al presente testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni”.
Il richiamo effettuato dal decreto ministeriale alla parte dell’art. 23 in cui “non prevede un sistema di elezione diretta degli organi di governo delle province alla scadenza naturale o anticipata del rispettivo mandato”, probabilmente va fatto ai commi 16 e 17:
- Il Consiglio provinciale è composto da non più di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia.
- Il Presidente della Provincia è eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti secondo le modalità stabilite dalla legge statale di cui al comma 16.
Ma il comma 16 precisa che “Le modalità di elezione sono stabilite con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2012”.
Pertanto il nuovo sistema di elezione così delineato, pur ammettendo che una tale previsione possa essere conforme al nostro ordinamento giuridico, non può considerarsi allo stato efficace.
Allora l’unico riferimento possibile per escludere l’elezione diretta si rinviene nell’art. 23, comma 20, che così prevede: “Agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo 2013, l’art. 141 del D. Lgs. 267/2000 e successive modificazioni”
Ma tutto ciò può considerarsi legittimo?
L’art. 141 del D. Lgs. 267/2000 richiamato dall’art. 23 individua le ipotesi tassative di scioglimento anticipato dei consigli provinciali e comunali; non dispone alcunché ovviamente in tema di sospensione del rinnovo elettorale; al contrario al comma 4 precisa che “Il rinnovo del consiglio nelle ipotesi di scioglimento deve coincidere con il primo turno elettorale utile previsto dalla legge”.
Estendere surrettiziamente le ipotesi “patologiche” tassative previste dall’art. 141 di “scioglimento anticipato” ai casi di scadenza naturale per sospendere l’esercizio del diritto democratico di elettorato attivo e passivo, per di più tramite decretazione d’urgenza, francamente ci appare un’operazione giuridicamente “spericolata”, poco coerente con i principi costituzionali e i principi generali del nostro ordinamento giuridico.
Che l’art. 23 non sia immediatamente applicabile ma che preveda un rinvio alla successiva legislazione è peraltro ovviamente confermato nella relazione illustrativa al disegno di legge “recante modalità di elezione del Consiglio Provinciale e del Presidente della Provincia a norma dell’art. 23, commi 16 e 17, del Decreto Legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214”, in cui si legge tra l’altro:
“Come è noto, l’articolo 23, commi 16 e 17, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha previsto che, con legge dello Stato, vengano stabilite le nuove modalità di elezione “indiretta” (esclusivamente da parte dei sindaci e consiglieri comunali) del presidente della provincia e dei consiglieri provinciali.
Al riguardo, si rappresentano di seguito gli aspetti essenziali dell’introducenda normativa”.
Il disegno di legge si propone peraltro di introdurre modifiche allo stesso art. 23 in ogni parte relativa alla composizione degli organi:
a) al comma 16, il primo periodo è sostituito dal seguente: “Il Consiglio provinciale è composto da non più di sedici membri eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia.”;
b) il comma 17 è sostituito dal seguente: “17. Il Presidente della Provincia è eletto dagli organi elettivi dei comuni ricadenti nel territorio della provincia secondo le modalità stabilite dalla legge statale di cui al comma 16.”;
c) il comma 20 è sostituito dal seguente: “20. Al rinnovo degli organi provinciali in scadenza a partire dall’anno 2012 si applica la legge dello Stato di cui al comma 16.”.
oltre che prevedere, come dovuto, le modifiche espresse al Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali e a “tutte le disposizioni di legge nelle quali si fa riferimento al sistema di elezione diretta dei consiglieri provinciali e del presidente della provincia”.
In questa situazione si dubita molto della legittimità del decreto del Ministro dell’Interno nella parte in cui non prevede le consultazioni elettorali per l’elezione diretta del Presidente della Provincia e del Consiglio Provinciale in nove Province, basandosi esclusivamente sulla disposizione contenuta nell’art. 23, comma 20, “Agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo 2013, l’art. 141 del D. Lgs. 267/2000”, che da solo avrebbe implicitamente abrogato tutte le disposizioni ordinamentali ed elettorali vigenti in ordine ad un Ente costitutivo della Repubblica, al pari dello Stato, delle Regioni e dei Comuni ai sensi dell’art. 114 della Costituzione.
E, giova ricordarlo, il tutto tramite decretazione d’urgenza!
Il Governo ha ricordato nel comunicato ufficiale del 24 febbraio che con il disegno di legge sulle nuove modalità di elezione del Consiglio Provinciale e del Presidente della Provincia “Prosegue l’azione di contenimento dei costi della burocrazia, attraverso una delle misure annunciate nei mesi scorsi: la razionalizzazione delle spese di gestione degli enti territoriali provinciali”.
Inoltre – si legge nel comunicato – “le “elezioni di secondo grado” riducono i costi. Gli eletti, infatti, mantengono la carica di sindaco o consigliere comunale per tutta la durata del quinquennio provinciale di carica”.
Si fa francamente fatica a capire.
Si parla di:
1) azione di contenimento dei costi della burocrazia;
2) razionalizzazione delle spese di gestione degli enti territoriali provinciali;
3) di riduzione dei costi in quanto gli eletti, infatti, mantengono la carica di sindaco o consigliere comunale per tutta la durata del quinquennio provinciale di carica.
La rappresentatività democratica è “un costo della burocrazia”?
A quali “spese di gestione” si fa riferimento? Non vi è alcuna quantificazione di tali risparmi, posto che:
a) L’articolo 8 del disegno di legge si limita a precisare che dalle introducende disposizioni non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica;
b) Lo stesso art. 8 precisa che lo Stato si fa carico delle spese per il funzionamento dei propri uffici interessati alle elezioni, per la fornitura delle schede per la votazione, dei manifesti recanti i nomi dei candidati e degli eletti, degli stampati e delle buste occorrenti per le operazioni degli uffici elettorali di sezione nonché le spese per la spedizione dei plichi dei predetti uffici, etc.;
c) Il comunicato del Governo recita che “il risparmio presunto per lo svolgimento delle elezioni è di circa 118 milioni di euro per lo Stato e di circa 200 milioni di euro per le Province. Ma di tutte le Province? Ogni cinque anni?
d) La Relazione Tecnica del Governo all’art. 23 precisa che dette disposizioni non determinano alcun risparmio di spesa né per l’anno in corso né per il 2013.
Come si può infine affermare che “le “elezioni di secondo grado” riducono i costi. Gli eletti, infatti, mantengono la carica di sindaco o consigliere comunale per tutta la durata del quinquennio provinciale di carica”?
Il disegno di legge prevede che “Possono candidarsi ed essere eletti alle elezioni provinciali esclusivamente i sindaci e i consiglieri comunali in carica nei comuni della provincia al momento della presentazione delle liste e alla proclamazione” e aggiunge “Il presidente della provincia e i consiglieri provinciali permangono nella carica anche in caso di perdita della carica di sindaco o consigliere comunale”.
E a maggior chiarezza la relazione illustrativa chiarisce che il disegno di legge “prevede opportunamente, inoltre, che le cariche di presidente della provincia e di consigliere provinciale permangano a prescindere dal mantenimento anche della carica di sindaco o di consigliere comunale per tutta la durata del relativo quinquennio provinciale di carica; diversamente, infatti, il suddetto consiglio provinciale sarebbe esposto, in modo quasi paradossale, ad un continuo “turn over”, specie nei casi di mancata conferma dei consiglieri comunali uscenti in occasione di ciascun turno annuale di elezioni amministrative; ciò osterebbe, di fatto, alla necessaria continuità dell’organo”.
Pertanto è evidente che gli eletti negli organi della Provincia manterranno la carica di sindaco o consigliere comunale soltanto per il periodo residuo di mandato, anche un solo anno, e non sempre “per tutta la durata del quinquennio provinciale di carica” così mettendo in discussione la presunta “riduzione dei costi”.
Ancora una volta ci sembra necessario osservare che non può procedersi in modo così maldestro alla riforma dell’assetto costituzionale dello Stato.
E’ evidente che bisogna procedere ad un forte riordino istituzionale che consenta di semplificare la pubblica amministrazione, individuando le funzioni fondamentali di Comuni e Province e riorganizzando in modo organico tutte le funzioni amministrative intorno alle istituzioni che compongono la Repubblica, colpendo le reali inefficienze e superando enti e strutture ridondanti a livello nazionale e a livello regionale, che non hanno una diretta legittimazione democratica e che non sono quindi responsabili nei confronti della cittadinanza.
Nel riordino del sistema amministrativo è però essenziale che ogni livello di governo sia disponibile a concentrarsi sulle funzioni che rientrano nella specifica missione istituzionale, evitando di invadere il ruolo degli altri livelli di governo.
In questo contesto può e deve essere ridefinito chiaramente il ruolo delle Province, nelle funzioni di governo del territorio, di programmazione e di pianificazione territoriale e su quei compiti che non possono essere svolti adeguatamente a livello comunale, e che siano ricondotte in modo organico in capo alle Province le funzioni di governo di area vasta di diversi organismi ed enti intermedi.
Occorre avviare una verifica approfondita sulla dimensione demografica e territoriale dei diversi livelli di governo (comunale, provinciale e regionale) per verificare le possibilità di accorpare gli enti su dimensioni adeguate per l’esercizio delle funzioni attribuite a ogni livello di governo.
Le Province dovranno concentrare la loro attività in modo organico sulle funzioni fondamentali di area vasta già individuate nella legge sul federalismo fiscale trasferendo ai Comuni, singoli e associati, le funzioni di prossimità attualmente esercitate in attuazione del principio di sussidiarietà.
In attuazione dei principi costituzionali di adeguatezza e differenziazione, va avviato da subito un processo condiviso per accorpare le Province intorno ad una dimensione adeguata per l’esercizio delle funzioni di area vasta ed, allo stesso tempo, istituire le Città metropolitane.
E’ però essenziale, in ogni caso, che tra i Comuni e le Regioni ci sia anche in Italia, come in tutta Europa e come è previsto dalla Carta europea delle autonomie locali ratificata dal nostro Parlamento, un ente intermedio con funzioni reali di area vasta e di coordinamento territoriale, i cui organi siano legittimati direttamente dal popolo e non nominati.
Conseguentemente occorre procedere alla soppressione di tutti gli enti e le strutture non direttamente legittimate dal popolo che rappresentano i veri costi della politica (e non della democrazia), trasferendo le loro funzioni agli enti territoriali previsti dalla Costituzione e riprendere al più presto l’iter parlamentare per l’approvazione del nuovo Testo Unico degli Enti Locali nel cui ambito, previo confronto con le rappresentanze delle Autonomie Locali, possono essere previste le revisioni delle circoscrizioni provinciali, l’individuazione di criteri generali di popolazione e di estensione territoriale che possano determinare la definizione degli ambiti ottimali affidati al governo dell’Ente Provincia e la razionalizzazione e riduzione del numero delle Province.
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