E’ giusto dire che “l’importante è fare qualcosa bene“, e ancor di più che, per fare bene, l’universita’ non è l’unica strada percorribile.
Maturare un progetto di vita che non sia ingabbiato nel clichè liceo-universita’ come meta più alta, premia maggiormente sul lungo periodo piuttosto che entrare nelle file degli studenti universitari poco motivati e convinti, destinati al “parcheggio” e alla disoccupazione.
“Chi si laurea dopo i 28 anni è uno sfigato” dovrebbe scuotere fortemente chi si è iscritto all’universita’, spronando chi non si impegna – o si impegna poco- a farlo molto di più.
Il viceministro, forse, avrebbe fatto meglio, piuttosto che fare sfoggio delle proprie doti (da verificare), a dire ai giovani che la concorrenza interna e internazionale è agguerrita e che il mondo del lavoro penalizza pesantemente i ritardatari.
Ma l’irritualità del suo linguaggio ha fatto discutere e riflettere, credo involontariamente, sull’importanza di studiare seriamente molto di più di un discorso istituzionale.
Mi chiedo, però, come mai tanti giovani che si laureano brillantemente nei tempi canonici vengono poi condannati dalla classe dirigente”sfigata”, ma pagata, all’immobilismo post-laurea (a meno che non si decida di emigrare)?
E’ grave che i “non sfigati volontari” diventino “sfigati coatti” una volta che mamma università li ha svezzati.
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