Tutti le vogliono e – all’improvviso – sono diventate la priorità assoluta; a leggere i giornali, sembra che la grave situazione dell’Italia sia colpa di notai, farmacisti e tassisti… e non di decenni di stallo, di una spesa pubblica (in gran parte) inutile e fuori controllo o dell’incapacità di prendere decisioni, di fare programmi in materia economica o di realizzare infrastrutture.
A mio parere, l’attuale dibattito rappresenta una vera e propria “arma di distrazione di massa”: il tema di cui far parlare tutti, fomentando ulteriormente il clima di scontro sociale, al fine di distogliere l’attenzione dei veri problemi del Paese.
Devo doverosamente premettere – al fine di evitare eccezioni pretestuose – che è da quando ho iniziato la professione forense che mi batto per una riforma dell’avvocatura in senso moderno, in grado di fornire i bisogni alla mutata realtà sociale, svecchiando riti e schemi.
Credo che la classe forense, e gli Ordini, abbiano una grande responsabilità in questa situazione e che gli interessi del sistema debbano essere anteposti a quelli della categoria: se il sistema Giustizia funzionasse, gli avvocati non potrebbero che avvantaggiarsene.
Appena è stata pubblicata su LeggiOggi, ho letto la bozza del provvedimento allo studio del Governo e non ho potuto fare a meno di esprimere il mio disappunto via Twitter legato sia ai contenuti sia alla forma sciatta in cui è scritta.
Un mio follower, in privato, mi ha risposto “Parli così perchè sei della casta!”.
“Quale casta?” ho risposto.
“Quella degli avvocati” ha replicato lui.
A questo punto gli ho risposto con un’emoticon sorridente, invitandolo a continuare il dibattito in chat per esporgli le mie idee.
Non credo che la crisi del Paese possa essere risolta liberalizzando i farmaci di “fascia C”, abolendo l’ordine dei notai o aumentando il numero delle licenze dei tassisti, anche se mi rendo conto che si tratta di scelte che possono concorrere a modernizzare l’Italia.
Il mio ragionamento non vuole essere nemmeno quello di chi vuole evitare provvedimenti per la propria categoria ed invita il Governo ad iniziare da altri; è il contrario: io vorrei che il Governo iniziasse ad occuparsi dell’avvocatura, ma in modo serio e partendo da un preciso presupposto. La professione forense è già liberalizzata perché:
A. BARRIERE D’INGRESSO La facoltà di Giurisprudenza non è a numero chiuso e ad essa è possibile accedere con qualsiasi diploma di scuola superiore.
Nemmeno per l’esercizio della professione forense vi è un numero chiuso e così – a parità di domanda – il numero degli avvocati è cresciuto in modo esponenziale negli ultimi anni.
L’accesso all’albo è subordinato ad un breve periodo di praticantato (anche il garzone del barbiere non inizia a tagliare i capelli nel primo giorno di bottega) e al superamento di un esame che certifica il possesso delle competenze di base.
Infatti, le facoltà di Giurisprudenza formano esperti di diritto, non avvocati (nel corso del mio percorso di studi, nessuno mi ha insegnato a discutere una causa o a scrivere un atto giudiziario; queste cose le ho apprese dai miei Maestri, durante la pratica).
B. MINIMI TARIFFARI Già a partire dalla “riforma Bersani”, le tariffe non sono più vincolanti e non mi sembra che né la categoria né i consumatori ne abbiano beneficiato.
Di conseguenza, l’eliminazione totale è solo fumo negli occhi, che avrebbe l’unico effetto pratico di rendere più difficile la liquidazione delle spese legali in caso di soccombenza in giudizio.
C. LARGO AI GIOVANI Gli avvocati italiani iscritti agli albi forensi sono passati da un numero di 48.327 professionisti presenti nel 1985 a ben 208.000 nel 2009 con un incremento del 330%.
Se nel 1985 era presente circa un avvocato ogni mille abitanti (0,9), nel 2009 sono presenti ben 3,4 avvocati ogni mille abitanti. La rilevante crescita del numero degli avvocati italiani è un fenomeno abbastanza recente e ha di fatto determinato un ringiovanimento della popolazione forense.
Ho spiegato al mio amico che non sono contrario alle liberalizzazioni per la difesa di interessi corporativi, ma perché non risolve nessuno dei problemi della categoria e lascia aperti tanti interrogativi a cui mi piacerebbe qualcuno rispondesse:
- la liberalizzazione che, di fatto, ha riguardato la professione forense ha avuto effetti sul livello qualitativo della categoria?
- il costante aumento del numero di legali ha un qualche legame con l’elevatissimo livello di contenzioso?
- mentre tutti si preoccupano (giustamente) della sorte dei lavoratori delle imprese manifatturiere che chiudono, qualcuno ha valutato l’impatto di queste riforme sui lavoratori del mondo forense?
- non sarebbe il caso di partire da provvedimenti che – davvero – aiutino i giovani (come incentivi fiscali o la riforma delle associazioni professionali)?
Alla fine, forse per stanchezza, il mio follower mi ha dato ragione e mi ha detto “dovresti scriverlo un articolo per spiegare queste cose”.
Ora che l’ho fatto, chiedo a voi (che avete avuto la pazienza di leggermi) cosa ne pensate.
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