Il testo di Eugenia Roccella avrebbe concesso l’uso delle tecniche di fecondazione assistita sia a coloro che si trovassero in condizioni di infertilità, sia ai genitori fertili, sebbene portatori di malattie infettive, del calibro di Hiv, Hbv ed Hcv. Non venivano invece menzionate, dal testo in oggetto, le malattie dei genitori, le quali presentassero origini genetiche. Ciò sarebbe equivalso ad affermare che i portatori di tali patologie non avrebbero avuto il diritto di fare ricorso ad una fecondazione medicalmente assistita. Per i giuristi, risultava e risulta evidente il contrasto tra tale affermazione e le note sentenze dei tribunali di Salerno, Bologna e Firenze, che consentirono, a coppie portatrici di malattie genetiche ( e non sterili ), di ricorrere alle tecniche di fecondazione assistita.
Tra le altre novità delle linee guida proposte da Eugenia Roccella, vi sarebbe stata la norma riguardante gli embrioni abbandonati durante le tecniche di fecondazione. Per essi, era fino ad ora previsto il trasferimento nella Biobanca di Milano ( costata un ben noto gruzzolo di denaro, e praticamente mai utilizzata ), alla quale spettava, fra l’altro, la responsabilità giuridica sugli embrioni da essa accuditi. Secondo le nuove disposizioni, tale responsabilità in materia di embrioni sarebbe rimasta in capo ai centri locali, in cui gli embrioni stessi sarebbero stati prodotti e lasciati.
E qui mi fermo; con la convinzione che il presente articolo debba essere concluso, come spesso dovremmo fare nel nostro dolce Paese, con le parole che il buon William Shakespeare usò per intitolare un suo noto lavoro: Molto rumore per nulla!
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