L’emendamento all’articolo 23 del d.l. 201/2011 sull’abolizione delle province altro non è se non la conferma della sua inutilità, ma soprattutto della superficialità al limite del dilettantismo col quale è stato scritto.
Una prima correzione, riguarda il comma 14, ove si corregge il tiro delle funzioni che residueranno alle province, una volta deprivate delle funzioni amministrative. Il testo oggi prevede che esse possano svolgere nei confronti dei comuni funzioni di indirizzo “politico”. Non ci voleva una grandissima competenza in diritto costituzionale per capire che, per effetto dell’articolo 114 della Costituzione, i comuni costituiscono la Repubblica con pari dignità istituzionale a qualsiasi altro ente territoriale. Certamente, un organo autonomo, elettivo, legittimato dal corpo elettorale, non poteva e non doveva osservare alcun indirizzo “politico” da parte delle province.
Una seconda e più importante correzione riguarda il termine entro il quale le leggi regionali dovrebbero attribuire le funzioni provinciali ai comuni o a se stesse: passa dal 30 aprile al 31 dicembre 2012.
Anche in questo caso, l’atto di resipiscenza del Governo rivela la frettolosità con la quale si è scritto l’articolo 23, quasi al solo scopo di fare contenta la pancia dei cittadini ed ammiccare alle campagne di stampa che richiedono senza sosta l’abolizione delle province. Come si poteva pensare di realizzare uno sconvolgente procedimento di redistrubuzione non solo di competenze e funzioni, ma anche di personale, risorse, tributi, entrate, patrimonio, inventari, contratti attivi e passivi, in quattro mesi? Soprattutto, azioni di questo tipo non possono essere realizzate ad anno finanziario avviato; non si consente di approvare bilanci credibili, né di attivare nessun tipo di gestione concreta utile. I passaggi di competenze dovuti ad estinzioni ed assorbimento di enti si fanno ad anno finanziario completo, dunque necessariamente al primo di gennaio di un certo anno, non ad aprile.
La scadenza del 31 dicembre 2012 è certamente più credibile di quella da boutade del 30 aprile 2012. Tuttavia, data la portata dell’opera da realizzare (già si immaginano commissari regionali, incaricati di trasferire l’incommensurabile patrimonio provinciale o a revisionare la contabilità per armonizzarla con quella regionale o comunale, ed i soldi per i compensi connessi…), sarebbe risultata maggiormente credibile la data del 31 dicembre 2050.
Lo slittamento della soppressione delle funzioni provinciali al 31.12.2012 lascia, in ogni caso, aperti ed irrisolti i problemi operativi posti dalla norma, dovuti a due elementi:
a) il termine per le regioni non è perentorio, perché non è accompagnato da alcuna sanzione (se non l’intervento sostitutivo dello Stato, di cui si parla nel successivo paragrafo); non si sa se sia acceleratorio, ordinatorio o che altro, ma comunque certamente violabile;
b) l’intervento sostitutivo dello Stato, in caso di inerzia delle regioni non è soggetto ad alcun termine: potrebbe anche non essere mai attivato.
Comunque, proprio l’intervento sostitutivo dello Stato è l’anello maggiormente debole dell’articolo 23, tanto da risultare da subito di impossibile attuazione, senza doversi attendere alcuna pronuncia della Consulta.
Infatti, esso considera il potere sostitutivo dello Stato come attuativo dell’articolo 8 della legge 131/2003. Il comma 1 di tale ultima norma prevede l’intervento sostitutivo statale solo “nei casi e per le finalità previsti dall’articolo 120, secondo comma, della Costituzione”. Il che già ammanta di incostituzionalità la disposizione della manovra-Monti, visto che tra i casi previsti non rientra di certo la mancata approvazione di una legge in tema di rideterminazione delle funzioni provinciali. Ma, la restante parte del comma 1 dell’articolo 8 della legge 131/2003 evidenzia l’assoluta e irrimediabile contrarietà all’ordinamento dell’articolo 23, comma 18. Infatti, l’intervento sostitutivo dello Stato viene esercitato dal Governo, mediante un atto del Presidente del consiglio, “su proposta del Ministro competente per materia”; in questo caso il premier “assegna all’ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari”, decorso il quale “il Consiglio dei ministri, sentito l’organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario”.
Risulta evidente che il potere sostitutivo dello Stato si esercita sulla funzione esecutiva ed amministrativa di regioni ed enti locali, non certo sulla funzione legislativa, che rimane potestà esclusiva ed intangibile dei consigli regionali.
E’ assolutamente inimmaginabile che il Governo della Repubblica adotti provvedimenti di diffida ad adempiere o di commissariamento di organi politici elettivi dotati di potestà legislativa, anche perché essa, ai sensi dell’articolo 117, comma 1, della Costituzione è esercitata con pari dignità ed equiordinazione congiuntamente dallo Stato e dalle regioni. Lo Stato può intervenire con proprie leggi solo nelle materie di propria competenza esclusiva e, nelle materie assegnate alla potestà legislativa concorrente delle regioni, solo con leggi quadro di principio.
L’articolo 23, comma 18, stravolge completamente l’assetto delle attribuzioni delle regioni e per questa via risulta del tutto inattuabile. Ogni provvedimento dei singoli ministri che attivasse l’iniziativa sostitutiva del Governo nei confronti delle regioni risulterebbe illegittimo se non addirittura nullo, per manifesta contrarietà alla Costituzione.
Lo Stato per intervenire sulla materia delle province senza determinare insanabili vulnerazioni all’ordinamento dovrebbe cancellare completamente le disposizioni dell’articolo 23 concernenti le province e, riappropriandosi della competenza, agire direttamente su organi e funzioni con propria legge, come in qualche modo consente l’articolo 117, comma 2, lettera p), della Costituzione. Ma, potrebbe farlo solo in riferimento alle funzioni che lo Stato stesso avesse a suo tempo demandato alle province. Tuttavia, la gran parte del decentramento di competenze in favore delle province attivato in applicazione delle leggi Bassanini tra il 1998 e il 2001 è avvenuto in base a norme regionali che hanno devoluto proprie funzioni. Dunque, il ridisegno delle funzioni provinciali, se non si intervenga cancellando le province della Costituzione, richiede necessariamente una nuova normazione regionale.
Una terza correzione riguarda la ormai famosa dead line per gli organi di governo, inizialmente prevista al 30 novembre 2012, poi cancellata dal testo pubblicato in Gazzetta e adesso reintrodotta, con l’emendamento, in modo automatico al conseguimento della data del 31 marzo 2013. Ad incrementare la confusione, l’emendamento prevede che agli organi provinciali da rinnovare nel 2012 “si applica l’articolo 141 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267”.
Ma, tale disposizione disciplina lo scioglimento o la sospensione dei consigli comunali e provinciali nel caso di compimento di atti contrari alla Costituzione, o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico, oppure quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi per impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del presidente della provincia o per dimissioni del sindaco o del presidente della provincia, o ancora per cessazione dalla carica per dimissioni contestuali, ovvero rese anche con atti separati purché contemporaneamente presentati al protocollo dell’ente, della metà più uno dei membri assegnati, non computando a tal fine il sindaco o il presidente della provincia o, infine, per riduzione dell’organo assembleare per impossibilità di surroga alla metà dei componenti del consiglio. Nessuna di queste ipotesi ha a che vedere con l’articolo 23 della manovra-Monti.
Insomma, si introduce un’ipotesi di commissariamento delle province in scadenza nel 2012 richiamando la norma che lo disciplina, ma prevedendo una causa di commissariamento ivi non considerata, creando una disparità con le altre province: queste, infatti, non potranno vedere la chiusura della consiliatura frutto delle elezioni tenutesi a loro tempo, perché il 31 marzo 2013, comunque, gli organi decadranno.
Correzione degna di rilievo è quella apportata al comma 22, al quale l’emendamento aggiunge un ulteriore periodo, che va assolutamente trascritto per intero: “fermo restando quanto previsto dall’articolo 5, comma 7, ultimo periodo, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, tale disposizione si applica a decorrere dal rinnovo degli enti ivi previsti”. In altre parole, si conferma che agli amministratori di comunità montane e di unioni di comuni e comunque di forme associative di enti locali aventi per oggetto la gestione di servizi e funzioni pubbliche non possono essere attribuite retribuzioni, gettoni, indennità o emolumenti in qualsiasi forma siano essi percepiti, come già prevede da oltre un anno l’articolo 5, comma 7, della legge 122/2010; mentre per tutte le altre cariche amministrative della miriade di enti ed entini territoriali, dei quali non si sa con certezza l’entità, l’identità e la finalità, si fanno salvi gli emolumenti (spesso anche molto sostanziosi) degli organi elettivi, fino al rinnovo delle cariche. Dimenticando, per altro, che la gran parte della spesa di questi enti polvere spesso non discende dalle cariche elettive (quelle che ai sensi del comma 22 dell’articolo 23 della manovra-Monti, debbono essere gratuite), ma da quelle amministrative: consorzi, autorità d’ambito e di bacino, consorzi imbriferi e tutte le altre indeterminate tipologie di enti simili sono molto generosi nell’attribuire compensi da top manager di multinazionali ad amministratori delegati e consiglieri d’amministrazione, direttori generali, segretari generalil, cariche assunte molto spesso da politici in erba o di lungo corso, al tramonto della loro epopea.
Inutile soffermarsi troppo sull’altro correttivo che:
a) impone alle regioni a Statuto speciale di adeguare i propri ordinamenti alle previsioni dei commi da 14 a 20 dell’articolo 23 della manovra: anche in questo caso la penna eccessivamente frettolosa o ottimisticamente persuasa dell’onnipotenza della legge ordinaria statale ha trascurato il piccolo particolare che le province delle regioni a statuto speciale sono disciplinate appunto dai loro statuti. Che hanno il valore di legge costituzionale. Difficile che una legge ordinaria possa ledere o incidere l’autonomia speciale delle regioni, imponendo un assetto istituzionale fissato da una legge regionale di valore superiore;
b) chiarisce che le disposizioni di cui sopra non si applicano alle province autonome di Trento e di Bolzano. Anche in questo caso, non ci voleva un grandissimo esperto per capire che le norme sulle province non potevano riguardare quelle autonome di Trento e Bolzano, che godono un’autonomia e svolgono funzioni sostanzialmente identiche a quelle di regioni a statuto speciale.
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