1. All’articolo 10, della legge 12 novembre 2011, n. 183, sono apportate le seguenti modifiche:
a) al comma 2, dopo le parole “sono abrogate con effetto dall’entrata in vigore del regolamento governativo di cui al comma 1”, è aggiunto il seguente periodo: “e, in ogni caso, dalla data del 13 agosto 2012”;
b) dopo il comma 2, è aggiunto il seguente: “2-bis. All’articolo 3, comma 5, lett. c), del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, le parole “la durata del tirocinio non potrà essere complessivamente superiore a tre anni”, sono sostituite dalle seguenti: “la durata del tirocinio non potrà essere complessivamente superiore a diciotto mesi”.
Con il primo intervento, un ritocco in realtà, è stata imposta una scadenza temporale agli attuali ordinamenti professionali. La legge 183/2011 è infatti la seconda manovra economica del 2011, quella di ferragosto, che aveva confermato la futura abrogazione degli ordinamenti professionali prevista già dalla prima manovra. Le tre manovre, sul punto, hanno progressivamente stretto la tenaglia. La prima prevedeva l’abrogazione degli ordinamenti professionali entro un anno, la seconda al momento dell’entrata in vigore del nuovo regolamento e la terza ora prevede che, regolamento o non regolamento, questi ordinamenti abbiano oramai una scadenza naturale al 13 agosto del prossimo anno, data scelta in modo, evidentemente, da poter smantellare tutto per poi andare in spiaggia a festeggiare.
Si tratta di una tecnica legislativa abbastanza discutibile. È chiaro che l’intento del legislatore è quello di sollecitare l’approvazione dei nuovi regolamenti, ma se questo non dovesse accadere che cosa si avrebbe il 13/8/2012, il passaggio all’anarchia in tutti i settori professionali? Un po’ come quando il ministro Calderoli, per «semplificare», ha abrogato le leggi istitutive del Tribunale dei minorenni e della Corte dei conti…
È evidente che ogni ulteriore considerazione, comunque, dovrà essere rimandata a quando si andrà a parlare di contenuti, in sede di formazione del nuovo regolamento, una forma di produzione normativa, tuttavia, che si svilupperà purtroppo fuori dal dibattito parlamentare e sarà gestita per lo più esclusivamente dal Governo – naturalmente la scelta della forma regolamentare è stata fatta proprio con questo scopo, al fine di evitare lo spettacolo pietoso di una riforma, come quella forense, apertamente sostenuta dalla maggioranza in Parlamento poi contraddetta da un decreto legge della stessa maggioranza con contenuti opposti in molti punti, come quello delle tariffe obbligatorie.
Prevedo, al riguardo, che fioccheranno le impugnazioni, ma al momento non ci rimane che aspettare.
Veniamo adesso alla seconda novità, che consiste nell’aver stabilito, sempre in riforma della precedente manovra, che il periodo di praticantato, in ogni professione, non potrà mai essere superiore ad un anno e mezzo di durata. Una scelta che lascia molto perplessi sotto vari profili.
È chiaro che nulla di ciò che riguarda le professioni può essere oramai considerato sacro e che si può discutere di tutto, a maggior ragione del periodo di praticantato, ma se questa discussione manca completamente e una disposizione in materia viene inserita del tutto a sorpresa in un decreto legge allora ancora una volta c’è qualcosa che non va nel nostro sistema politico ed istituzionale.
A parte questo, nel merito va osservato che il precedente limite massimo, di tre anni, lasciava all’autonomia di ogni ordinamento professionale la discrezionalità per fissare il periodo ritenuto più congruo, dal momento che ogni professione ha tempi di apprendimento e modalità di formazione e svolgimento del tirocinio diversi. In precedenza, ogni professione avrebbe potuto scegliere tra uno, due o tre anni.
Il limite di un anno e mezzo, invece, lascia possibile, se si vuol dare un senso alla cose, solo la scelta annuale, dal momento che in ogni professione gli esami di abilitazioni che si devono affrontare per poi essere iscritti all’albo si tengono con cadenza annuale e spesso con non poca fatica e con sessioni che si prolungano oltre misura. Se anche, poniamo, per i futuri avvocati il periodo di praticantato fosse stabilito ad un anno e mezzo, dopo la fine della pratica si troverebbero impossibilitati a fare l’esame, con la ridicola conseguenza pratica che continuerebbero a stare nello stesso studio facendo le stesse cose di prima, ma senza più le tutele di prima, come la «paghetta», introdotta proprio con la prima manovra, perchè adesso non sono più praticanti e quindi bella grazie che possono continuare a frequentare lo studio.
Per non dire, poi, dell’incoerenza con il valore che si attribuisce alla formazione dei professionisti già abilitati. Se la formazione deve essere centrale, allora perchè abbassare il periodo di tirocinio che è quello dove ogni professionista impara i rudimenti del mestiere?
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento