Parti: Google Inc. c. A.B.
FATTO
La vicenda trae origine dalle contestazioni mosse dal Sig. A.B. nei confronti di Google Inc. in relazione al servizio “Google Suggest Search” che, interrogato sulla ricerca di informazioni relative al Sig. A.B., suggeriva all’utente di inserire nella ricerca le parole “truffa” e “truffatore”.
Tale suggerimento, a parere del Sig. A.B., era da considerarsi diffamatorio della propria reputazione, del proprio onore e della propria immagine, pertanto, quest’ultimo domandava con ricorso ex art. 700 c.p.c. al Tribunale di Milano di ordinare a Google di rimuovere detta associazione di parole dal proprio servizio “Google Suggest Search”.
Con ordinanza del 25 gennaio 2011, il Tribunale di Milano ha ritenuto di accogliere il ricorso proposto dal Sig. A.B. nei confronti di Google Inc. in quanto l’associazione delle parole “truffa” e “truffatore” all’identità del Sig. A.B., generata dal software programmato dalla società resistente, avrebbe integrato un’ipotesi di diffamazione, ledendo l’onore e la reputazione del Sig. A.B..
L’ordinanza cautelare è stata confermata in sede di reclamo.
DECISIONE
Il Collegio ha, innanzitutto, chiarito che il procedimento attraverso cui il software di Google genera le associazioni di parole si fonda su un algoritmo matematico elaborato sulla base dei termini di ricerca maggiormente utilizzati dagli utenti della rete.
In tale contesto, il Tribunale di Milano assume, pertanto, che eventuali effetti negativi derivanti dalla ricerca effettuata con l’ausilio del servizio “Google Suggest Search” devono essere addebitati a titolo di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. a Google che, nel caso di specie, ha messo appunto ed adottato il software capace di ottimizzare i risultati delle ricerche effettuate per il tramite del proprio motore di ricerca.
Ciò deriva dalla circostanza per cui il Sig. A.B. non si è lamentato dei contenuti presenti sul web, in relazione ai quali Google avrebbe potuto invocare l’esenzione da responsabilità civile del provider ex D.Lgs. 70/2003, bensì ha contestato l’abbinamento di parole generate dal servizio in discussione, direttamente riferibile all’opera di Google.
Il Collegio ha, infine, rilevato che il software che consente l’accesso al servizio “Google Suggest Search” costituisce, di per sé, una mera agevolazione offerta dalla società reclamante ai propri utenti, pertanto, una eventuale modifica od un successivo intervento da parte del fornitore del servizio a seguito della comunicazione della sussistenza di un illecito, non inciderebbe in alcun modo sui risultati della ricerca offerti dal motore di ricerca.
D’altro canto, sempre stando a quanto si legge nel provvedimento, non si può dubitare del fatto che l’abbinamento delle parole “truffa” e “truffatore” al nome di una persona sia di per sé lesivo della reputazione e dell’onore di una persona, in quanto potenzialmente in grado di ingenerare nell’utente, a torto o a ragione, il sospetto della sussistenza di una condotta non lecita.
Il testo integrale della decisione è disponibile qui
BIBLIOGRAFIA ONLINE
su Wired: “Basta un suggerimento per diffamare”; “Caso Google suggerire non significa diffamare”
su Punto Informatico: “Parole soltanto parole”;
su Leggi Oggi: “Google e la diffamazione nel suggerimento di ricerca”
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