Oramai da anni (almeno una decina: ricordo ad esempio Cass. civ. Sez. III, 11/12/2000, n. 15580: “La casalinga, pur non percependo reddito monetizzato, svolge purtuttavia un’attività suscettibile di valutazione economica, sicché va legittimamente inquadrato nella categoria del danno patrimoniale (come tale risarcibile autonomamente rispetto al danno biologico) quello subito in conseguenza della riduzione della propria capacità lavorativa“) la Cassazione ha affermato il principio per cui anche la casalinga ha diritto a vedersi riconosciuto il risarcimento del danno patrimoniale sotto il profilo del danno emergente e/o del lucro cessante.
Ricordo ancora nel 2005 di nuovo l’affermazione secondo cui “chi svolge attività domestica svolge un’attività suscettibile di valutazione economica. Sicché il danno subito in conseguenza della riduzione della propria capacità lavorativa, se provato, va legittimamente inquadrato nella categoria del danno patrimoniale, come tale risarcibile, autonomamente rispetto al danno biologico, nelle componenti del danno emergente ed, eventualmente, anche del lucro cessante. ” (Cass. civ. Sez. III, 20/10/2005, n. 20324).
E Cass. civ. Sez. III, Sent., 19-03-2009, n. 6658, ha ripreso (letteralmente) tali righe.
Tutto ciò per dire che la recente sentenza n.23573 depositata il 11/11/11,della Terza Sezione Civile in cui nuovamente è stato riconosciuto risarcibile il danno patrimoniale della casalinga non è una novità (seppur vi siano stati giudici di merito che ancora in anni recenti hanno negato la risarcibilità della capacità lavorativa della casalinga) ma si inserisce in questo filone oramai, per l’appunto, ultradecennale.
Volendo schematizzare il percorso logico che viene compiuto si tratta di questo:
1) Per quanto non percepisca un reddito monetizzato, la casalinga svolge indubbiamente un’attività suscettibile di valutazione economica;
2) L’attività della casalinga, peraltro, non si esaurisce con l’’espletamento delle faccende domestiche, ma si estende al coordinamento della vita familiare.
Ciò premesso da un punto di vista sistematico, il problema si sposta sul piano probatorio: come ricorda infatti la stessa recentissima sentenza “l’applicazione di tali principi non può avvenire automaticamente e senza analizzare le peculiarità del caso concreto“.
Occorre cioè allegare e provare l’attività espletata prima dell’evento dannoso e dimostrare l’impossibilità (o la maggior fatica, e in questo caso sarà quanto mai di aiuto la consulenza medico-legale) di continuare a svolgerla.
Per quel che riguarda il criterio di liquidazione si prenderà come riferimento il costo presumibile (trattandosi di un giudizio pro futuro evidentemente sconta in radice una qual certa percentuale di incertezza) di un collaboratore domestico.
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