Lo stop, in origine, riguardava:
- i licenziamenti collettivi, ai sensi della L. n. 223/1991;
- i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell’art. 3, della L. n. 604/1966.
Inizialmente, la durata dell’impossibilità di licenziamento era di 60 giorni, decorrenti dal 17 marzo 2020. Ergo, il divieto valeva fino al 16 maggio 2020. Inoltre, sono soggetti alla predetta novità tutti i datori di lavoro indipendentemente dal numero dei dipendenti.
Successivamente, con il susseguirsi delle norme, il blocco è stato prorogato mese dopo mese in relazione all’andamento della curva epidemiologica da Coronavirus. Ultimo intervento in ordine cronologico è l’attuale bozza della Legge di Bilancio 2021, ossia la futura Manovra Finanziaria, che dovrà essere pubblicata in Gazzetta Ufficiale entro la fine dell’anno corrente.
Ma andiamo in ordine e vediamo in dettaglio fino a quando vale il blocco dei licenziamenti e in quali caso è ancora possibile licenziare.
Tutte le novità della Legge di bilancio 2021
Blocco licenziamenti: stop fino a marzo
Fin dall’inizio di questa pandemia le due misure principali in tema di lavoro, ossia cassa integrazione guadagni e impossibilità di licenziamento, hanno viaggiato in parallelo. E anche per il 2021 sarà così. Infatti, come conferma il quadro di sintesi sugli interventi della Legge di Bilancio 2021 redatto dal Senato:
- “Per quanto concerne il vigente divieto di licenziamento, il ddl di bilancio proroga al 31 marzo 2021 il divieto di procedere a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo e a quelli collettivi (con sospensione delle procedure in corso) in conseguenza della concessione di un ulteriore periodo massimo di dodici settimane di trattamenti di integrazione salariale per periodi intercorrenti tra il 1° gennaio 2021 e il 31 marzo 2021 per i trattamenti di Cassa integrazione ordinaria, e tra il 1° gennaio 2021 e il 30 giugno 2021 per i trattamenti di Assegno ordinario e di Cassa integrazione in deroga”.
Blocco licenziamenti: cosa comprende il divieto?
Dunque, fino al prossimo 31 marzo, i datori di lavoro non possono:
- avviare la procedura di licenziamento collettivo previsto dalla L. n. 221/1991. Si ricorda, al riguardo, che il licenziamento collettivo vale per le aziende che occupano più di 15 dipendenti, e in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, hanno intenzione di effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco temporale di 120 giorni nell’unità produttiva oppure in più unità produttive dislocate nella stessa provincia e quelle in CIGS;
- nel caso in cui nel corso o al termine del programma emerga la necessità di procedere anche ad un solo licenziamento;
- indipendentemente dal numero dei dipendenti, recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della L. n. 604/1996. Il licenziamento per GMO, si ricorda, può avvenire in due casi specifici, notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro, oppure, ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di questa.
Blocco licenziamenti: quando non si applica?
Tuttavia, esistono anche dei casi in cui il divieto non si applica. In via principale, ciò può avvenire per i seguenti motivi:
- cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività;
- fallimento, senza esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne viene disposta la cessazione;
- accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro. Da notare che il divieto viene meno solo per i lavoratori che aderiscono all’accordo e che hanno diritto alla NASPI.
Inoltre, restano fuori dal blocco i licenziamenti per giusta causa che sono quelli che non consentono la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto. Ma non solo: anche i licenziamenti per giustificato motivo soggettivo, ivi compresi quelli di natura disciplinare, oltre ai licenziamenti per raggiungimento del limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia.
Infine, rientrano nell’esclusione:
- i licenziamenti per la fruizione del pensionamento per la “quota 100”;
- i licenziamenti dovuti al superamento del periodo di comporto;
- i licenziamenti per inidoneità;
- i licenziamenti dei lavoratori domestici, in quanto, in tali casi, il recesso è “ad nutum”.
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