Il dramma di Atene

Sia consentito anche a un non “addetto ai lavori” – il cui unico titolo è quello di conoscere abbastanza bene la Grecia che frequenta da oltre quaranta anni – di svolgere alcune brevi considerazioni sull’attuale difficile situazione del paese ellenico.

Devo dire che il recente aggravarsi della crisi non mi ha particolarmente sorpreso.

Pochi anni fa, avendo passato alcuni giorni ad Atene, tappa del mio ritorno a casa da un viaggio in Sud Africa, ero stato colpito da una notizia riportata in prima pagina da diversi giornali, secondo la quale un milione di conti correnti presentava un saldo in rosso a motivo di spese fatte con carta di credito. Con una popolazione di 12 milioni di abitanti e circa 4 milioni di famiglie, il dato era sicuramente impressionante.

Era a mio parere l’effetto di una aggressiva politica delle banche nell’offerta di detto strumento di pagamento (“Pagherai in cinquanta rate”).

Nel tempo mi è parso spesso di cogliere i segni di una sorta di euforia collettiva del tutto ingiustificata quasi che la gente fosse colpita dal virus di una sindrome da shopping compulsivo.

Condivido il pensiero di quanti hanno al riguardo sostenuto che i greci hanno avuto in anni recenti un tenore di vita non giustificato dalle loro possibilità.

Nell’ampia baia prospiciente il porto del Pireo mi sorprendeva poi in più occasioni il gran numero di navi all’ancora (la Grecia vanta un’importante flotta mercantile). Pensavo alla contrazione degli scambi commerciali dovuta alla crisi internazionale ma riflettevo pure sul peso che i noli marittimi hanno sempre rappresentato nella bilancia dei pagamenti del paese. Devo ancora aggiungere che mi ha lasciato alquanto perplesso l’oneroso acquisto di sommergibili di nuova generazione dalla Germania! Ma era una spesa così necessaria? Potrei continuare.

La domanda che mi ponevo con insistenza e che non trovava risposta, riguardava le ragioni che potevano spiegare la posticcia prosperità che sembrava manifestarsi.

Della scarsa affidabilità della classe politica sono pure stato sempre abbastanza convinto. Sui costi della politica dalle nostre parti il dibattito è aperto ma pure in Grecia non si scherza. Senza parlare degli emolumenti economici, si sappia che ogni deputato beneficia dell’assistenza di tre agenti di polizia che ne tutelano la sicurezza e che può contare sulla collaborazione di quattro impiegati pubblici che si sceglie liberamente; gli viene pagato l’affitto per uno studio fuori dal Parlamento per non parlare poi dei viaggi gratis e di altri benefit…

Non mi soffermo su altri aspetti ben conosciuti, l’economia sommersa prossima al 30 per cento e l’alto livello dell’evasione fiscale della quale anche il semplice turista coglie a volte i segni durante il suo pur breve soggiorno (tentare di contrastarla sarà un compito assai arduo che richiederà, come si afferma su un articolo apparso sul New Yorker dello scorso mese di luglio, un cambiamento culturale).

Oggi la crisi è ormai conclamata. Persino molti immigrati scelgono altre destinazioni (mi assumo la responsabilità della stima ma credo che la Grecia sia, in termini relativi, il paese europeo con la più alta incidenza di presenza straniera che le statistiche ufficiali sottostimano ampiamente) e sono gli stessi greci oggi a scegliere nuovamente la via dell’emigrazione: sono in tanti ad esempio ad aver deciso di trasferirsi in Australia, paese nel quale vive una consistente comunità greca.

Un’ultima osservazione sulla scarsità dei “gioielli” da vendere: la società telefonica pubblica (OTE) è ormai nelle mani di Deutsche Telekom, la società elettrica pubblica (DEH) è stata in buon parte privatizzata… Vedremo come andrà a finire.

Antonio Cortese

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