L’origine dell’idea di censimento è certamente antica come il vivere associato e tutte le grandi civiltà del passato hanno lasciato traccia di più o meno perfezionate operazioni di questo tipo. L’inizio della fase moderna dei censimenti va situato nel XVIII secolo quando interi stati nazionali procedono a complesse operazioni censuarie con finalità non fiscali e con criteri che si avvicinano a quelli moderni. Dal 1861 sono state effettuate nel nostro paese quindici rilevazioni censuarie (quella del 1891 è saltata per le difficoltà finanziarie del momento e quella del 1941 per le vicende belliche; nel 1936 ne è stata effettuata una perché il governo fascista aveva optato per la periodicità quinquennale). La cadenza decennale è prassi accettata un po’ ovunque.
Proprio per il suo carattere di rilevazione “totale”, il censimento richiede il montaggio di una macchina organizzativa particolarmente complessa e quindi assai costosa. Da qualche tempo ci si interroga perciò sulla opportunità di mantenerlo in vita (in alcuni paesi una tale scelta è stata già fatta). Anche in Italia ci si interroga sul punto e tutto lascia pensare che nel 2021 si percorreranno altre strade. Dal momento che dal sistema delle anagrafi comunali si ricavano correntemente dati sulle principali caratteristiche demografiche della popolazione residente e che da molti altri archivi informatizzati già individuati possono essere derivate notizie di sicuro interesse, molti “addetti ai lavori” esprimono l’avviso che per approfondire altri aspetti si debba puntare solo su grandi indagini campionarie da ripetere con una qualche frequenza. Per l’oggi rispondiamo con responsabilità all’invito dell’Istat “partecipa al censimento e disegna l’Italia di domani”.
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