Meredith, un Erasmus senza risposte

Redazione 04/10/11
Meredith Susanna Cara Kercher era una studentessa inglese di ventidue anni, in Italia nell’ambito del progetto Erasmus presso l’Università di Perugia.

Da ieri, il suo omicidio non ha più (quasi) colpevoli.

Assolti i suoi “amici” Amanda Knox e Raffaele Sollecito, dalla Corte d’Assise d’Appello di Perugia, dopo quattro anni di perizie, di analisi, di dichiarazioni, di testimonianze e di errori giudiziari, dopo essere stati condannati in primo grado (a 26 e 25 anni di carcere, per omicidio con l’aggravante dei futili motivi). Rimane in piedi solo la condanna (passata in giudicato: 16 anni) all’ivoriano Rudy Guede, per concorso (!) nell’omicidio.

L’interesse degli Stati Uniti sulla vicenda è stato enorme: una cittadina americana in prigione, in Italia, per omicidio!

Processo farsa”, lo aveva definito senza mezzi termini il giornalista della CBS News Peter Van Sant, e non è stato il solo. Con gli occhi e le telecamere puntate su Perugia tutti i network americani sono stati impegnati nell’autopsia di un processo, quello alla cittadina americana Amanda Knox, “una innocente che paga l’incapacità italiana di trovare il vero colpevole”.

Contestato dalla stampa americana l’intero impianto accusatorio, valutato falso, con 54 errori gravi nella ricostruzione scientifica. “Un caso – aveva profetizzato Vant Sant – che sta crollando sulle caviglia dell’accusa, in poche parole la sta lasciando con le braghe calate”.

Insomma, per i maggiori network e tabloid americani, non sono stati solo i giudici ad essere incapaci, ma anche la polizia e soprattutto i reporter, che avrebbero fatto di Amanda una promiscua, drogata e manipolatrice.

Si è così trasformato in un grande show alla Perry Mason, negli USA, il processo d’appello ad Amanda Knox, vissuto con toni e atteggiamenti cinematografici .

Negli ultimi giorni in tv è stato tutto un rincorrersi di talk show e dibattiti.

Sia nei servizi in studio che nelle corrispondenze degli inviati in Italia, i cronisti statunitensi avevano spesso descritto la giustizia italiana come pasticciona e persecutoria, attaccando la presunta imperizia della nostra polizia scientifica nel raccogliere e repertare i dati.

Gli inquirenti avrebbero brancolato nel buio fin dal primo momento e sarebbe mancata – hanno sostenuto – ogni prova materiale del coinvolgimento della Knox nell’omicidio di Meredith. Più adombrata la posizione di Raffaele Sollecito che, non essendo un loro connazionale, evidentemente godeva di minore appeal tra gli spettatori d’oltreoceano.

Il Time Magazine ha puntato il dito contro il meccanismo tutto italiano di passaggio di informazioni accuratamente selezionate tra avvocati e giornalisti, addirittura ancora prima che iniziasse il processo, e casualmente tutte a sostegno dell’accusa.

Insomma, una caccia alle streghe, un sensazionalismo di cui hanno accusato anche i telegiornali italiani, colpevoli di riproporre morbosamente il bacio dei due fidanzati davanti la casa del delitto.

Ad innervosire i media a stelle e strisce forse anche la frecciatina lanciata dal Procuratore Generale Giuliano Mignini nell’ultima replica di venerdì scorso, quando aveva parlato di un pericolo di fuga senza ritorno negli Stati Uniti, da parte dell’imputata, elogiando il garantismo del nostro sistema giudiziario rispetto a quello americano che – per casi analoghi – prevede la pena di morte.

Gli americani erano comunque sicuri dell’innocenza di Amanda come erano sicuri che sarebbe stata prosciolta, e aspettano adesso di vedere quale sarà la reazione dell’Italia che la voleva condannata al carcere a vita.

In definitiva, un clima sovraeccitato, di grande spettacolarizzazione, che certo non ha aiutato ad affrontare la vicenda con distacco e lucidità.

Gli stessi cronisti italiani negli Usa hanno riferito che la gente ha vissuto il processo come fosse un incontro sportivo: da una parte i buoni, gli yankees, che hanno subito il torto di un processo non equo, contro i cattivi, i mangiaspaghetti, e la loro farraginosa giustizia.

Amanda nel suo paese è già una star, e da assolta, l’attende ora una lunga strada dorata, con interviste pagate fior di dollari, libri e naturalmente un film sulla sua storia.

La giustizia Italiana non è perfetta, lo sappiamo bene.

Ma non accettiamo lezioni, soprattutto dall’unico paese libero e democratico che, assieme al Giappone, applica ancora la pena di morte (come dimenticare l’uccisione, tra i tanti, di Sacco e Vanzetti?).

Ci piace ricordare, in chiusura, che  il primo Stato al mondo ad abolire legalmente la pena di morte per tutti i reati fu il Granducato di Toscana.

Era il 30 novembre 1786, ed era appena stato emanato il nuovo codice penale toscano, firmato dal granduca Pietro Leopoldo, influenzato dalle idee di pensatori del calibro di Cesare Beccaria.

Redazione

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