Da un punto di vista normativo l’esercizio della professione intellettuale sotto forma societaria era già stata introdotta in attuazione della direttiva 98/5/CE dal D. lgs. 96/2001: tuttavia era consentita solo la società tra avvocati mediante costituzione di società in nome collettivo.
L’introduzione delle STP e delle STA significa per alcuni autori (Campobasso) sdoganare il divieto di esercizio della professione intellettuale in qualità di imprenditori: in tale prospettiva l’impossibilità di attribuire la qualifica di imprenditore al professionista deriverebbe solo da una scelta di politica legislativa ai sensi dell’art. 2238 c.c..
Volendo invece continuare a ritenere che il professionista non possa esercitare la sua attività alla stregua di un imprenditore, occorre probabilmente definire la società come quell’ente strumentale all’esercizio di un’attività genericamente produttiva di ricchezza.
Uno dei principali problemi al fine di riconoscere la qualità di imprenditore al professionista intellettuale è dato dal fatto che trattasi di prestazione legata alla persona del professionista stesso: per il cliente conferente l’incarico non è indifferente la persona del materiale esecutore della prestazione richiesta, come al contrario dovrebbe essere nell’ambito dell’esercizio dell’impresa. Anche se occorre sottolineare che tale attività (imprenditoriale o meno) sarà formalmente svolta dalla società.
Di tale problema il legislatore si fa carico nelle STA dove ai sensi dell’art. 4-bis l. 247/2012 “resta fermo il principio della personalità della prestazione”: l’incarico dunque è personale ed infatti il professionista che ha eseguito la prestazione è solidalmente responsabile con la società ed eventualmente con gli altri soci (laddove si fosse optato per una società di persone).
Per quanto attiene alle STP ai sensi dell’art. 10 l. 183/2011, il principio della personalità della prestazione sembra attenuato in quanto la designazione del professionista può essere fatta, secondo obbligatoria previsione statutaria, dal cliente o in mancanza dalla società. Tuttavia ciò non impedisce di parlare di personalità della prestazione: il professionista una volta designato (non rileva se dal cliente o dalla società stessa) non può avvalersi di collaboratori in caso di dissenso del cliente ai sensi dell’art. 5 D.M. 34/2013 (regolamento attuativo della legge sulle STP), anche se il legislatore non prevede espressamente una responsabilità solidale tra società e professionista.
A ben vedere infatti sia per la STP che per la STA, nonostante l’incarico personale, la società si obbliga verso i terzi e i soci/professionisti eseguono la prestazione in forza di un obbligo assunto verso la società in sede di costituzione (Campobasso). Ciò trova conferma nello stesso art. 10 l. 183/2011 il quale stabilisce che l’atto costitutivo deve prevedere la stipula di una polizza di assicurazione, evidentemente da parte della STP, per la copertura dei rischi derivanti da responsabilità civile del professionista. Resta la responsabilità disciplinare del socio di STP ai sensi dell’art. 12 D.M. 34/2013.
Ad una prima analisi dunque per entrambi i modelli societari vige il principio di personalità della prestazione anche se diverso è il regime di responsabilità applicabile rispetto alla prestazione professionale pattuita con i terzi.
Pressoché identiche sono le forme societarie utilizzabili: società di persone, di capitali, cooperative e per le sole STP anche mutue assicuratrici. Nelle STP i soci devono essere cittadini europei e nelle STA non è ammessa la partecipazione tramite società fiduciarie, trust o per interposta persona.
La compagine sociale delle STA e STP può essere composta in misura non superiore ad 1/3 del capitale sociale e dei diritti di voto da non professionisti ovvero da c.d. soci di capitali ed almeno per i restanti 2/3 deve comprendere soggetti iscritti presso un ordine, o albo professionale. Tale è l’impostazione della giurisprudenza di merito (Tribunale di Treviso 20 settembre 2018) secondo cui dunque la prevalenza dei soci professionisti va riferita sia alla partecipazione al capitale sociale che al numero di soci. I soci professionisti devono detenere almeno i 2/3 del capitale sociale e dei diritti di voto.
Stante il differente tenore letterale delle norme (art. 10 l. 183/2011 e art. 4-bis l. 247/2012) si è sostenuto (Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai Q.A.10) che nelle STP la prevalenza dei soci professionisti viene soddisfatta assicurando la maggioranza dei due terzi nelle “decisioni” dei soci, ovvero può essere raggiunta anche mediante regole di favore per i professionisti nell’attribuzione del diritto di voto.
Come precisato anche nelle STA dunque è consentita la partecipazione di professionisti non iscritti all’albo forense e tale aspetto crea non pochi problemi di coordinamento tra le due discipline: in sostanza non è vero che la STP può utilizzarsi per le società multiprofessionali (avvocati, commercialisti etc.) e la STA può essere costituita tra soli avvocati.
È vero che le due discipline sono molto simili ma come si è cercato di delineare presentano alcune differenze e pertanto occorre provare a tracciare dei confini stabili considerato che per altro le STA devono essere iscritte all’albo forense mentre le STP presso l’albo “relativo all’attività individuata come prevalente nello statuto o nell’atto costitutivo” (art. 8 D.M. 34/2013).
Come affermato da recente giurisprudenza (Sez. Un. 19282/2018) la scelta non è nella disponibilità perché la legge speciale e posteriore delle STA prevale su quella generale e precedente delle STP. Ciò significa che ove il costituendo ente sia formato per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto da soci avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti presso albi di altre professioni e il suo organo di gestione sia composto in maggioranza da avvocati, le parti dovranno optare per la STA.
Probabilmente il parametro che offre maggiore certezza è dato dai componenti dell’organo gestorio, il quale se formato da una maggioranza di avvocati determinerebbe la scelta del modello STA e la conseguente applicazione delle regole di cui all’art. 4 bis l. 247/2012.
Il criterio di scelta tra STP e STA dunque sembra essere meramente formale e addirittura sganciato dall’oggetto sociale: probabilmente ci si potrebbe trovare in una STA che rispetti i criteri formali indicati ma che svolga un’attività di sola consulenza economica fiscale ovvero non forense.
Probabilmente dunque così si risolverebbero, ancorché in maniera paradossale, i problemi di identificazione dell’oggetto sociale prevalente posti in dottrina (Busani).
Sarebbe necessario individuare l’attività prevalente pertanto solo per le STP ai sensi dell’art. 8 D.M. 34/2013.
La prevalenza dell’attività professionale potrebbe definirsi in forza di innumerevoli parametri (Busani): per teste, per partecipazione agli utili, per numero di incarichi professionali svolti, per partecipazione al capitale sociale, per fatturato derivante dall’attività professionale svolta dal singolo socio.
Alcuni di questi parametri non offrono certezza in sede di costituzione in quanto verificabili solo durante la vita della società (si pensi per esempio al criterio del fatturato).
Una possibile soluzione potrebbe consistere nel dividere il capitale sociale in parti uguali, senza incidere sulla ripartizione proporzionale di utili e perdite e verificare così l’attività che in prevalenza svolgerà la società in base alla professione svolta dai singoli soci.
Così si potrebbe determinare in maniera chiara l’oggetto sociale e quelle che saranno solo attività accessorie, oggetto sociale che peraltro sarebbe elemento tipizzante (Cagnasso). Resterebbe però il problema di come disciplinare la maggior remunerazione per quei soci che concretamente presteranno con più frequenza la propria opera professionale a beneficio dell’intera società.
Si ricorda poi che in caso di discrasia tra oggetto sociale documentalmente definito e attività concretamente svolta, la società assume l’incarico mediante gli amministratori i quali se ci si trova in una società di capitali hanno la responsabilità generale della società: ciò significa che rispetto ai terzi restano ferme le regole sulla responsabilità sopra esposte; poi se gli incarichi non ineriscono l’oggetto sociale definito si profilerà un problema di responsabilità degli amministratori nei rapporti interni con i soci.
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