Si tratta di due partizioni nevralgiche che l’ordinamento giuridico ha approntato in alcuni decenni (a decorrere almeno della legge 575 del 1965, istitutiva delle misure di prevenzione personale antimafia) e che necessitavano di una manutenzione capace di coordinare ed aggiornare trame normative fin troppo sfilacciate e disomogenee.
Il “testo unico”, voluto dal Parlamento all’unanimità con l’approvazione delle deleghe recate dalla legge 136 del 2010 (il cd. Piano straordinario antimafia), ha richiesto una duplice modalità d’intervento; da un lato si è provveduto a riassumere, con modalità meramente compilative, l’insieme delle disposizioni che regolamentavano, attraverso un pulviscolo di disposizioni, la complessa materia delle misure di prevenzione personali e patrimoniali; dall’altro si sono modificate e aggiornate quelle regole che apparivano più usurate dal tempo, attuando anche complesse riscritture (è il caso dei diritti dei terzi nelle procedure di prevenzione).
Il risultato finale è di buon livello, poiché finalmente l’operatore giudiziario e la dottrina si possono confrontare con una tavola di disposizioni organicamente ripartite e depurate di defatiganti ed incerti rinvii da un testo legislativo all’altro con un range temporale che andava, almeno, dalla legge 1423 del 1956 sino al decreto legge 187 del 2010.
Il Codice, da questo punto di vista, assolve una funzione preziosa, attraverso il Libro I.
Parimenti importante è la modifica che il Libro II ha introdotto nel regime della cd. documentazione antimafia; ossia nell’insieme delle norme che disciplinano la procedure di controllo volte ad impedire le infiltrazioni mafiose nel delicato settore della negoziazione pubblica.
Era da oltre un decennio che si attendeva una complessiva opera di risistemazione delle fonti in questa materia, innalzando al rango primario di legge una serie di disposizioni regolamentari e, finanche, di circolari che avevano, nel tempo, supplito alle carenze di una attività normativa ancora sprovvista di una reale, condivisa ispirazione di fondo.
Si tratta di questioni delicate che attengono all’efficace regolazione del mercato dei contratti pubblici e che, in difetto di un quadro strategico capace di dare organicità e forza all’intero settore della prevenzione amministrativa antimafia, rischiavano di restare insolute, continuamente esposte ad interventi frammentari e incompleti.
Il Libro II delinea oggi un perimetro sufficientemente ampio entro cui ricomprendere porzioni fondamentali di questa attività preventiva: si pensi, per tutti, all’accesso ai cantieri disposto dai prefetti ai sensi del d.lgs.150 del 2010 e oggi incastonato nel Codice in concordanza con il rilascio di tutte le tipologie di cc.dd. certificazioni antimafia.
Resta il rammarico per la soppressione, all’esito dell’iter consultivo parlamentare, dell’originario Libro I che avrebbe dovuto ricomprendere le norme di diritto sostanziale e processuale che regolano il contrasto alle mafie.
L’assenza di una delega che autorizzasse il Governo a riscrivere, o anche solo armonizzare, il testo delle disposizioni in materia ha, alla fine, consigliato l’eliminazione dallo schema di decreto legislativo di questa porzione, assai rilevante, della normativa antimafia.
Da questo punto di vista, il Codice antimafia è un’opera incompleta, ma l’impegno assunto sembra essere quello di provvedere al più presto alla sua integrazione, offrendo così definitivamente agli operatori un corpus unitario di regole che guidi e orienti nella lotta alla criminalità organizzata.
Materia ancor oggi troppo volte esposta alle bizzarrie e stravaganze di taluno che profitta dell’assenza di una cornice univoca di riferimento per fare della lotta alla mafia un palcoscenico mediatico e non un’officina di buone prassi o un esercizio di trasparenza.
Alberto Cisterna
Magistrato
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