E adesso? Come uscire da questa situazione di stallo?
Qualche giorno fa il Financial Times ha avanzato l’ipotesi che la salvezza dell’Italia, in caso di default, non sarebbe passata dalla Banca Centrale Europea bensì dai grandi investitori stranieri, Cina in pole position.
Sempre secondo indiscrezioni del Financial Times, il Presidente della China Investment Corp, Lou Jiwei, a capo di una delegazione in visita non ufficiale a Roma, avrebbe discusso con il ministro Tremonti e alcuni rappresentanti della Cassa Depositi e Prestiti. Sebbene Tremonti abbia espresso in passato i propri timori su una eventuale “colonizzazione cinese” dell’Europa non potrà, ora, sottovalutare l’opzione dell’aiuto cinese, in attesa di un eventuale sostegno dal Fondo Monetario Internazionale. Alla base degli accordi ci sarebbe l’impegno di Pechino di acquistare le obbligazioni sovrane del Tesoro che la BCE non sarebbe più disposta a comprare: a questo punto, la possibile vendita di partecipazioni strategiche in Enel ed Eni – di cui lo Stato è azionista di maggioranza relativa – potrebbe concretizzarsi.
La catastrofe che la bancarotta italiana rappresenterebbe per l’euro-zona non poteva lasciare indifferenti proprio i cinesi.
Dopo aver beneficiato degli effetti della globalizzazione economica e finanziaria, all’indomani dell’ingresso nel World Trade Organization, la strategia cinese è ovviamente quella di preservare a tutti i costi il proprio stato di benessere. E chi non lo farebbe al suo posto?
Vista da Pechino, la paventata implosione dell’euro-zona comporterebbe un vero e proprio disastro per le sue esportazioni: il salvataggio dell’Italia, quindi, rappresenta una vera e propria missione per la Cina tutta protesa ad arginare gli effetti devastanti che questa ennesima crisi europea potrebbe arrecare direttamente alla nuova potenza economica in continua ascesa.
In passato, la concezione ciclica della storia, insita nella cultura cinese, ha portato a pensare che la Cina avrebbe avuto una naturale fase di espansione con il ripristino della sua potenza economica e politica. In effetti, con l’ingresso nel WTO, la Cina ha iniziato un’era completamente nuova e, a distanza di 10 anni, il miracolo economico è un dato di fatto. L’economia cinese, per la prima volta nella sua storia millenaria, si è aperta al mercato mondiale e questa espansione ha suscitato, negli ultimi anni, gelosie e timori, tanto che in molti hanno sperato nell’instabilità interna e nella frammentazione del colosso cinese.
Come spiegò Zhou Enlai a Henry Kissinger, “i misteri cinesi scompaiono in un solo modo, studiando”. E allora sforziamoci di capire questa Cina: confrontiamoci con il nuovo che avanza, senza troppe riserve mentali e pregiudizi di sorta!
Quando nel 2001 Jim O’Neill, economista della Goldman Sachs, coniò il termine BRIC, in pochi avrebbero scommesso nell’affermazione di Brasile, Russia, India e Cina sull’economia mondiale. L’affermazione di questi grandi paesi emergenti ha avuto, infatti, una gestazione piuttosto rapida se si considerano i normali cicli storici lungo i quali le grandi potenze si sviluppano, prosperano e declinano. Nel caso della Cina, i processi di riforma e di apertura, avviati già alla fine degli anni Settanta da Deng Xiaoping, hanno consentito il superamento del vecchio modello dirigistico che ha ceduto il posto alla creazione di un nuovo tipo di sistema socialista con l’adozione di un modello di crescita che ha permesso alla Cina di integrarsi nel processo di globalizzazione economica.
Una forte accelerazione a questo processo si è registrata in occasione della crisi economica internazionale, a fine 2008. Così la Cina si è trovata a gestire la più grande massa mondiale di valuta pregiata: una liquidità che le consente, in questo periodo di contrazione, di investire ed acquistare liberamente all’estero, affermandosi quale determinante motore della ripresa economica internazionale.
L’Europa, in particolar modo, rappresenta una destinazione ideale per i fondi sovrani cinesi: l’assenza di meccanismi di controllo degli investimenti esteri, l’esistenza di mercati di capitali sviluppati e la presenza di grandi imprese con forte bisogno di liquidità, sono questi i fattori che stanno determinando una sempre più diffusa disponibilità di vantaggiose occasioni di investimento nel Vecchio Continente.
Non è un caso, quindi, che la China Investment Corp stia concentrando una crescente parte dei propri capitali in Europa, soprattutto in grandi società che operano in settori strategici, quali l’energia, il green-tech, l’auto motive e i beni di consumo.
Concretezza e lungimiranza: queste le linee guida adottate dalla Cina il cui interesse primario adesso è quello di tener in vita l’euro-zona dove contano di investire sempre di più, essendo i cinesi ormai saturi di attività finanziarie statunitensi.
La scelta del salvataggio in extremis in favore dell’Italia sarebbe stata dettata, inoltre, da alcune stime secondo le quali l’Italia ha un’economia di gran lunga maggiore di quella dei tre paesi UE già colpiti dalla crisi: Grecia, Portogallo e Irlanda. Dunque, un’Italia al collasso metterebbe ancora più in crisi tutta l’economia europea: salvando l’Italia, i cinesi salvano, in fondo, i propri investimenti presenti e futuri in Europa.
L’evoluzione della crisi globale ha contribuito a far assumere alla Cina, più velocemente e più significativamente di quanto prima prospettato, il ruolo di locomotiva della crescita economica mondiale. La Cina sembra aver trovato la formula per uscire rapidamente dalla crisi, riorganizzando il proprio sistema economico e incoraggiando il cambiamento e l’innovazione. Sebbene, da una parte, la crisi globale abbia rafforzato la Cina, dall’altra, ha comportato l’aggravarsi di alcuni problemi socio-economici interni, strumentalizzati soprattutto dall’avvicinarsi del ricambio ai vertici del potere. Fattori cruciali di questa sfida sono stati l’istruzione, la formazione e il senso d’identità delle nuove generazioni, attraverso la promozione dell’uso del cinese mandarino tra la quasi totalità della popolazione.
Avete capito bene: istruzione, formazione e identità nazionale, proprio quello che manca in Italia, da lungo tempo ormai abbandonata nei palazzi del potere dove sono ben altre le priorità da gestire.
Per l’Europa e per l’Italia la Cina è ancora troppo misteriosa al punto tale da rappresentare un oggetto di fascino ma anche di timore. D’altra parte, oggi non sono di sicuro le idee e i valori cinesi ad influenzare l’Europa che si aspetta solo di ottenere benefici dall’espansione dei rapporti con la Cina. In altri termini, l’interesse che la Cina genera in Europa è causato più che dal suo hard o soft power dalla paura e dalle speranze che tende a ispirare. La crisi economica ha reso di fatto i capitali occidentali più scarsi e prudenti e la Cina ne sta approfittando per posizionarsi nell’Europa orientale: Grecia, Polonia, Romania e Bulgaria. In Grecia, imprese cinesi sono impegnate nella costruzione di nuovi terminali marittimi, di aeroporti ed entreranno nel settore delle costruzioni navali. Con questa operazione i cinesi acquistano una base logistica per il commercio verso l’Europa, area dove la Cina può investire il proprio avanzo commerciale.
Se Pechino si è detto pronto “ad aiutare i paesi dell’Euro-zona a superare l’attuale crisi finanziaria”, promettendo a Grecia e Portogallo l’acquisto di loro titoli di stato di nuova emissione, tuttavia tale decisione di aiutare gli stati più indebitati e salvare l’euro non è beneficenza fine a se stessa e si spiega, in una prospettiva di lungo periodo, con la volontà della Cina di evitare l’aumento del prezzo delle proprie esportazioni, proteggendo in questo modo i propri assets denominati in euro e diversificando le proprie riserve.
Un eventuale salvataggio del debito italiano – qualora fosse confermato – dimostra l’impegno con il quale la Cina stia penetrando sempre più nello spazio geo-economico mediterraneo. La chiave di lettura potrebbe essere la seguente: la Cina si sta proiettando sul Mediterraneo per ridurre l’eccessiva interdipendenza con gli USA e per rendere al contempo più sicure le linee di rifornimento petrolifero che dall’Africa sub-sahariana e dal Golf Persico garantiscono al paese il fabbisogno energetico di uno Stato-continente in continua crescita. Nella prospettiva cinese, quindi, il Mediterraneo appare “come area strategica nella quale costituire un tessuto industriale e commerciale che favorisca la presenza in settori economici laddove il predominio europeo si sta allentando o è scomparso. Una sorta di ‘economia di sostituzione’ per produrre a basso costo beni che l’Occidente non produce più o non riesce a esportare in quei Paesi”.
Mai sottovalutare le analisi geopolitiche e geo-economiche, soprattutto in tempi di crisi. Che la danza cinese abbia inizio!
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