Secondo la previsione dell’art. 75 della Costituzione, un referendum popolare può essere indetto se lo richiedono almeno 500mila elettori.
Dal canto suo, l’art. 32, comma 1, della legge n. 352 del 1970, dispone che le richieste di referendum vengano depositate, presso l’Ufficio centrale della Corte di Cassazione, entro il 30 settembre.
Entro tale data, quindi, i promotori dovranno recarsi presso la cancelleria della Cassazione con in mano almeno 500mila firme valide.
Mancano poco più di una decina di giorni alla scadenza e le firme già raccolte risultano essere più di 435mila. Se si considera il breve tempo avuto a disposizione, il risultato va oltre le aspettative del comitato referendario. Questo successo convince i promotori di essere a due passi dall’obiettivo. Andrea Morrone, presidente del comitato, motiva la vittoria con la voglia di partecipazione che il Paese ha sperimentato con le consultazioni referendarie dello scorso 12 e 13 giugno.
I quesiti abrogativi, riportati nella G.U. n.160 del 12 luglio, proposti dal comitato referendario per i collegi uninominali (Co.Re.CU.), sono due.
Il primo quesito, di colore blu, propone l’abrogazione totale delle disposizioni introdotte dalla legge n. 270 del 2005.
Il secondo quesito, di colore rosso, propone, invece, l’abrogazione di singole disposizioni della legge n. 270 e, in particolare, quelle che sostituiscono la legge n. 277 -“Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati”- e n. 276 – “Norme per l’elezione del Senato della Repubblica”, entrambe del 1993.
Lo scopo delle proposte referendarie è perciò duplice: eliminare la legge elettorale vigente (n. 270 del 2005, detta legge Calderoli) e ripristinare quella precedente (n. 277 e 276 del 1993, detta legge Mattarella).
Attraverso l’abolizione delle liste bloccate, del premio di maggioranza e la conseguente riviviscenza del collegio uninominale, si vuole garantire agli elettori il diritto di scegliere, a partire dalle prossime consultazioni, i propri rappresentanti in Parlamento.
Nel mentre si moltiplicano in tutta Italia le iniziative per la raccolta delle ultime firme, i cervelli del Pdl e della Lega si sbracciano, elaborando espedienti idonei a scongiurare le urne. Consapevoli che quota 500mila è vicina e che in Italia tira aria anti casta, cercano di giocare d’anticipo.
C’è chi, però, nonostante il partito di appartenenza, non esita ad uscire dal coro. È il caso di Carlo Vizzini e Antonio Martino, esponenti del Pdl e di molti deputati dell’Udc e del Fli che hanno firmato, nonostante il diverso orientamento dei propri leader.
Voci isolate, ma indicative di un malessere diffuso. Del resto, che l’impegno per la raccolta firme abbia un sapore politico è noto.
In particolare, i partiti ufficialmente aderenti al Co.Re.CU. sono: Italia dei Valori, Sinistra ecologia e libertà, I democratici, l’Unione popolare, il Partito liberale italiano, la Rete dei referendari di Mario Segni.
Poco chiaro, invece, sembra essere il punto di vista del Partito Democratico. Manca il suo appoggio ufficiale, ma molti dei suoi esponenti, a cominciare da Arturo Parisi (coordinatore politico del comitato), Prodi, Fassino, Veltroni, Franceschini, hanno firmato.
Bersani e D’Alema, invece, trovando nell’iter parlamentare l’unica soluzione all’attuale legge elettorale, negano il loro sostegno.
La frammentarietà, di sicuro, presenta l’inconveniente di impoverire il problema, grave, di una legge che ci offende. Credo che questo inconveniente possa essere eliminato battendo la strada aperta dai promotori del referendum. Un risveglio nell’aria c’è. Anche stavolta sarà l’elettore a dover colmare le lacunosità e le gravi carenze della politica.
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