Il caso, che si intende analizzare in questa sede, già dibattuto ampiamente su queste pagine, trova origine nel 2005 nella Federazione Russa, ove ‘’una donna single’’ ottiene un provvedimento di adozione (emesso dal Tribunale regionale di Lipetsk), divenendo madre di una ragazzina di dodici anni. Il provvedimento di adozione, però, viene rilasciato all’adottante solamente nel successivo 2006 dal Tribunale, di secondo grado, del Distretto di Columbia (Stati Uniti). A seguire, nel 2008, il medesimo provvedimento di adozione rilasciato alla donna viene dichiarato comunque inefficace dal Tribunale dei minori di Genova.
Da lì la madre-adottante, oltretutto genovese, tenta in tutti i modi di ottenere il riconoscimento dell’adozione in Italia rivolgendosi, prima, alla Corte d’Appello di Genova e successivamente alla Suprema Corte di Cassazione. Quest’Ultima, nonostante una complessa ed articolata motivazione di rigetto, riafferma nel caso concreto una formula poco usata, quella dell’ adozione non legittimante.
Ebbene, l’adozione non legittimante, definita anche adozione ‘’in casi particolari’’, è disciplinata dall’art. 44 della L. 184/1983, così come sostituito dalla L. 149/2001, e tutela, nelle prime due lettere, il rapporto che si crea nel momento in cui il minore viene inserito in un nucleo familiare con cui in precedenza ha già sviluppato legami affettivi, mentre nelle altre due, i minori che si trovino in particolari situazioni di disagio. Le ipotesi in cui si può fare ricorso a questo tipo di istituto sono tassativamente previste dalla legge, tranne alcune ‘’eccezioni’’.
Presupposto fondamentale è che i genitori dell’adottando prestino il proprio assenso, qualora siano in condizioni tali da fornirlo.
I casi contemplati prevedono tale opportunità per:
1) persone unite al minore da parentela fino al sesto grado, ovvero da un rapporto stabile e duraturo quando il minore sia orfano di padre e di madre;
2) il coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge;
3) i minori che si trovino nelle condizioni indicate dall’art. 3 della Legge n. 104/92, e siano orfani di entrambi i genitori;
4) constatata impossibilità di affidamento preadottivo.
Nei casi di cui ai numeri 1, 3 e 4 l’adozione è consentita oltre che ai coniugi anche a ‘’chi non sia coniugato (anche single)’’, con l’unico limite derivante dalla differenza minima di 18 anni di età che deve intercorrere tra adottante e adottato, non essendo invece previsto alcun limite massimo.
Gli effetti dell’adozione in casi particolari sono paragonabili a quelli dell’adozione dei maggiorenni nel senso che non si estingue il rapporto con la famiglia d’origine (diritti e doveri) e gli effetti dell’adozione non si estendono alla parentela dell’adottante, come accade, invece, nell’adozione dei minori cd. ordinaria.
Più specificatamente, nei casi particolari, sopra menzionati, l’adottato assume il cognome dell’adottando anteponendolo al proprio; diventa erede di chi l’adotta ed è considerato dalla legge figlio legittimo dell’adottante. Chi adotta, inoltre, non acquista diritti successori nei confronti dell’adottato; assume, invece, tutti i doveri che incombono sul genitore nei riguardi del figlio legittimo. Inoltre, a differenza dell’adozione ordinaria, l’adozione in casi particolari può essere revocata per indegnità dell’adottato o dell’adottante.
Legislativamente parlando, si assiste, quindi, alla costruzione di un rapporto di filiazione adottiva che viene ad aggiungersi a quello originario; lo scopo è quello di garantire ai minori che non necessariamente versino in stato di bisogno, ma che vivano in una condizione di disagio, l’inserimento in un contesto familiare idoneo a prestare loro la necessaria assistenza morale e materiale.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3572/2011, si è, in qualche modo, spinta più in là rispetto alla normativa nazionale esistente. Essa è giunta a riconoscere in Italia l’adozione di un minore da parte di una donna single seppure solo nella forma non pienamente legittimante. La Cassazione, infatti, pur bocciando formalmente il riconoscimento, ha specificato che ‘’comunque la permanenza biennale nello stato straniero che ha pronunciato il provvedimento (gli Stati Uniti) consente l’adozione in Italia, considerato il caso particolare, senza effetti di adozione piena’’.
La Cassazione si apre così ad un ‘’mite riconoscimento allargato’’ evidenziando che ‘’nulla in contrario è previsto dalla Convenzione di Strasburgo sui fanciulli, del 1967, che contiene le cc.dd. linee-guida in materia di adozione. La Suprema Corte, mediante la propria motivazione, effettua, inoltre, ‘’un mero richiamo’’ al Legislatore, auspicando per ‘’un necessario intervento nazionale, che vada a provvedere, nel concorso di particolari circostanze, ad un ampliamento dell’ambito di ammissibilità dell’adozione del minore da parte di una singola persona anche con gli effetti dell’adozione legittimante’’.
Insomma, la legislazione italiana, sui criteri necessari all’adozione, appare oggi molto rigida rispetto a quella internazionale.
Analizzando la normativa nella sua tecnicità evolutiva, si assisterebbe ad una vera e propria collisione di valori portanti.
Da una parte, infatti, è necessario che la legge si evolva, recependo i mutamenti della società allo scopo di rimanere sempre in qualche modo equa e giusta.
Ma, d’altra parte, al centro di tutto va posto l’interesse del bambino e non di chi desidera adottarlo.
Ogni bambino ha diritto a una madre e a un padre: questa dovrebbe essere ‘’l’assoluta normalità’’?
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento