La tesi – storica, appunto, più che giuridica – attorno alla quale è costruita la decisione è che l’intermediario della comunicazione avuto a mente dal legislatore UE all’atto del varo della direttiva sul commercio elettronico, e, in particolare, il fornitore di hosting, rappresenti, ormai, una razza estinta e che, pertanto, tale disciplina non possa trovare applicazione – almeno con riferimento allo speciale regime di non responsabilità e di assenza di un obbligo generale di sorveglianza – con riferimento alla nuova razza, risultato dell’evoluzione tecnologica e di una mutazione darwiniana della figura dell’intermediario della comunicazione che oggi, a differenza di ieri, sarebbe “attivo”.
Le modalità “di prestazione di tale servizio [n.d.r. quello di intermediazione della comunicazione] – ormai del tutto comuni ai soggetti che svolgono attività analoghe – si sono distaccate dalla figura individuata nella normativa comunitaria” – scrivono, infatti, i Giudici – “mentre i servizi offerti si estendono ben al di là della predisposizione del solo processo tecnico che consente di attivare e fornire ‘accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione” finendo nell’individuare (se non un vero e proprio content provider, soggetto cioè che immette contenuti propri o di terzi nella rete e che dunque risponde di essi secondo le regole comuni di responsabilità) una diversa figura di prestatore di servizi non completamente passiva e neutra rispetto all’organizzazione della gestione dei contenuti immessi dagli utenti (c.d. hosting attivo), organizzazione da cui trae anche sostegno finanziario in ragione dello sfruttamento pubblicitario connesso alla presentazione (organizzata) di tali contenuti.”.
Secondo il Tribunale di Milano, dunque, l’intermediario della comunicazione non esisterebbe più ed il suo più prossimo discendente, ben rappresentato da Yahoo video, non meriterebbe lo speciale trattamento riservato al suo avo dal legislatore comunitario.
Yahoo, dunque, meriterebbe di essere considerato responsabile di violazione dei diritti d’autore sui video trasmessi da Mediaset in quanto, pur informato da quest’ultima della circostanza che, attraverso i suoi servizi, venivano diffusi al pubblico alcuni video sui quali insistevano altrui diritti d’autore, non si sarebbe attivato per individuarli e rimuoverli.
Tanto, secondo il Tribunale di Milano, dovrebbe ritenersi sufficiente a far scattare la responsabilità dell’intermediario – antico o moderno che sia – in quanto le trasmissioni indicate da Mediaset quali oggetto degli spezzoni di video pubblicate attraverso i servizi di Yahoo, sarebbero state “di notevole successo” con la conseguenza che, rispetto ad esse “un superficiale e rapidissimo controllo avrebbe dimostrato quantomeno la fondata titolarità dei diritti di RTI”.
Neppure, secondo i Giudici, “la mancata specifica individuazione [ndr da parte di Mediaset] dei filmati contestati” sarebbe risultato “elemento atto ad impedire alla convenuta ogni (dovuta) attività di verifica e controllo, tenuto conto che essa avrebbe potuto agevolmente essere svolta proprio utilizzando gli stessi strumenti informatici posti a disposizione dei visitatori di Yahoo! Video per la ricerca di contenuti tramite le parole chiave, riproducenti i titoli delle menzionate trasmissioni”.
In altre parole Yahoo! Avrebbe dovuto individuare, uno ad uno e manualmente, tutti i video riproducenti spezzoni delle trasmissioni indicategli da Mediaset, utilizzando lo stesso motore di ricerca posto a disposizione degli utenti.
E’ qui che gli estensori della decisione dimostrano di conoscere poco anche il presente oltre che il passato.
Pretendere che un fornitore di servizi di hosting – attivo o passivo che sia – proceda alla rimozione di contenuti audiovisivi segnalati come “pirati” sulla base di un riconoscimento manuale e come chiedere al casellante dell’autostrada di impedire l’accesso a tutte le auto che trasportano un CD pirata.
Nessun dubbio che in astratto sia possibile ma, in concreto, si tratta di una prestazione inattuabile che non può che tradursi nell’imposizione di un obbligo generale di sorveglianza che non è chiaro se il Tribunale ritenga compatibile o incompatibile con il nuovo status di “fornitore di hosting attivo”.
Nella società dell’informazione, processare un contenuto significa, semplicemente, trattare in maniera automatizzata la somma dei bit che lo compongono senza che ciò implichi necessariamente – come per contro mostrano di ritenere i Giudici – conoscenza, o anche solo possibilità di conoscenza, del suo contenuto concettuale.
Oggi, a differenza di ieri, posso processare un’informazione o, meglio, farla processare dai miei software e dalle mie macchine e, in ipotesi, anche indicizzarla o associarla ad altre informazioni senza che io – né i miei sistemi – sia in grado di conoscerne e riconoscerne il contenuto per quanto “famoso” agli occhi di ogni comune mortale.
E’ l’era dei bit.
La ragione per la quale, tuttavia, le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale sono difficilmente condivisibili e minacciano di condannare davvero all’estinzione gli intermediari della comunicazione – attivi o passivi che siano – ben più di quanto abbiano fatto – a leggere la Sentenza – la storia ed il progresso, è un’altra e concerne la qualificazione stessa di Yahoo Video come un servizio diverso dal tradizionale servizio di hosting.
Se, infatti, Yahoo Video non è – come ritiene il Tribunale – un intermediario che merita di essere considerato tale davanti alla legge è difficile – sfortunatamente – individuarne degli altri nell’attuale panorama internet.
Tale qualificazione, secondo i Giudici, discenderebbe, tra l’altro, dalle modalità con le quali Yahoo! organizzerebbe i servizi pubblicitari, nel senso, pare di capire – anche se nella decisione non lo si scrive espressamente – che la correlazione tra contenuti video degli utenti ed annunci pubblicitari veicolati da Yahoo! deporrebbe contro la qualificazione della piattaforma come piattaforma di “hosting passivo”.
Egualmente, secondo il Tribunale la qualificazione di Yahoo! come hosting attivo e la sua non qualificabilità quale “semplice” hosting passivo – ammesso che si possa e voglia seguire tale bipartizione della quale non c’è traccia nella disciplina vigente – discenderebbe dalla circostanza che esso avrebbe reso disponibile agli utenti uno speciale link sotto ad ogni video “che consente al visitatore di segnalare al prestatore del servizio l’eventuale illiceità del contenuto immesso dall’utente e consente alla redazione di verificare la segnalazione stessa e di provvedere alla eventuale rimozione del materiale stesso”.
Ciò, sempre secondo i giudici, confermerebbe che Yahoo! si sia assunto “un onere di controllo – sia pure successivo all’immissione dei contenuti – sulla liceità del materiale pubblicato” e che, pertanto, così facendo si sia posto “su di un piano diverso da quello del semplice fornitore di hosting che sarebbe tenuto alla rimozione del contenuto solo dietro ordine dell’Autorità in base all’art. 16 del D. Lgs. 70/2003”.
Con espressione assai poco giuridica ma di indubbio impatto, verrebbe da dire: cornuti e mazziati.
Responsabili per aver fatto il possibile per garantire a tutti – utenti e titolari dei diritti – la miglior possibile tutela dei propri diritti ed interessi.
Meglio avrebbe fatto, a quanto pare, Yahoo! a lasciare che, dinanzi ad ogni possibile contenuto illecito pubblicato, chi se ne sentisse offeso o ritenesse di esser pregiudicato dalla pubblicazione, non avesse avuto altra possibilità che rivolgersi alla competente Autorità.
C’è un unico argomento, anche se piuttosto debole, tra quelli utilizzati dal Tribunale di Milano che, forse, non può essere bollato come privo di ogni fondamento e concerne i diritti sui contenuti pubblicati dagli utenti che Yahoo video acquisisce da questi ultimi.
Sul punto i Giudici scrivono che “riservandosi anche il diritto di…riprodurre, modificare, remixare, adattare, estrarre, preparare opere derivate”, con e su, i contenuti pubblicati dagli utenti, Yahoo video! avrebbe esorbitato dai limiti del ruolo di mero intermediario.
E’ un argomento, occorre riconoscerlo – correndosi altrimenti il rischio di prendersela con i Giudici quasi per principio e, soprattutto, di lasciar pensare che si rivendichi per i fornitori di servizi online un’esenzione da ogni obbligo di controllo e responsabilità più ampia di quanto non sia necessario e ragionevole esigere – più suggestivo degli altri.
Esigere il riconoscimento di taluni diritti d’autore su un contenuto quale corrispettivo della fornitura di un servizio di hosting, d’altro canto, non significa necessariamente assumere la responsabilità editoriale sul contenuto in questione e, conseguentemente, dismettere i panni dell’intermediario.
Il punto, al quale i Giudici non hanno, tuttavia, riservato neppure una riga di motivazione nella loro Sentenza non è se Yahoo si sia o meno riservato questo o quel diritto d’autore, quanto piuttosto se la diffusione al pubblico dei video oggetto di contestazione rappresenti utilizzo di tali diritti o, piuttosto, esecuzione della richiesta di pubblicazione da parte degli utenti.
Sin troppo evidente che la risposta corretta sia la seconda e che, dunque, non vi sia ragione per privare Yahoo! dello status di intermediario che gli compete.
Ci sarebbe tanto di più, probabilmente, da dire ma, per il momento, val la pena fermarsi, augurandosi che questa brutta decisione costituisca uno stimolo, per gli addetti ai lavori, per avviare una riflessione approfondita e pacata sul ruolo degli intermediari della comunicazione e sulla misura della responsabilità che è giusto e sensato porre sulle loro spalle, specie se si vuole rispettare l’obiettivo, caro al legislatore europeo, di scongiurare il rischio che, a tutela del loro portafoglio, gli intermediari – nuovi ed antichi, attivi e passivi – finiscano con il limitare il diritto degli utenti di comunicare online.
E’ vero che, così facendo, gli intermediari diventerebbero più poveri perché guadagnerebbero di meno dalla raccolta pubblicitaria ma, un istante dopo, tutti noi saremmo più poveri e non in termini economici ma in termini di libertà di parola e democrazia.
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