Per il suo modo imprevedibile di manifestarsi, il terrorismo firmato Al Qaeda ha costretto l’Occidente a rivedere i propri parametri di sicurezza.
Archiviato il lungo capitolo Guerra fredda, ci si è resi conto che la guerra come blocco unico ha ceduto sempre più il passo a conflitti minori, di carattere eversivo, sparsi per il mondo. L’Occidente si è, così, trovato di fronte un nuovo nemico da combattere, gli ha dato un volto, quello di Osama Bin Laden, il principe del terrore capace di privatizzare il terrorismo, emancipandolo da esclusivo monopolio degli Stati-canaglia degli anni Settanta e Ottanta, e di globalizzare una rete di cellule attive e dormienti presenti sia nei paesi musulmani sia in Occidente.
La globalizzazione della minaccia ha comportato, nell’ambito di questa nuova lotta al terrorismo, una globalizzazione delle politiche di sicurezza, rispetto alla quale gli argini del costituzionalismo si sono mostrati insufficienti perchè costruiti all’interno di sistemi stato-nazionali che molto spesso ignorano la necessità di un agire congiunto da parte di tutta la comunità internazionale come, invece, richiederebbe questo tipo di lotta.
In questi anni, la ricerca di un corretto equilibrio fra l’urgenza di combattere il terrorismo – definito dalle Nazione Unite come una delle più gravi minacce alla pace e alla sicurezza internazionale – e il rispetto dei diritti umani fondamentali ha rappresentato il problema centrale della cooperazione internazionale.
Con la risoluzione n. 60/288 dell’8 settembre 2006, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha riaffermato che gli atti, i metodi e le pratiche di terrorismo, in tutte le loro forme e manifestazioni, costituiscono attività dirette alla distruzione dei diritti umani, delle libertà fondamentali e della democrazia.
La risposta governativa agli attentati si è tradotta in misure straordinarie volte a contrastare, attraverso l’adozione di misure preventive, il ripetersi di simili eventi. L’impatto dell’emergenza terrorismo ha avuto delle conseguenze sulla scala gerarchica delle priorità e dei valori condivisi in uno Stato di diritto: la pubblica sicurezza, diritto fondamentale e prioritario, ha accentuato la tendenza alla compressione delle garanzie dei diritti individuali, normalizzando così l’emergenza che per definizione è una situazione di extra-ordinarietà e che dovrebbe essere affrontata con strumenti eccezionali e limitati nel tempo.
Invece, nel corso di questi 10 anni, lo stato di emergenza è servito da fattore legittimante l’emanazione di leggi speciali – in quanto destinate alla regolamentazione di situazioni straordinarie – ma prive del requisito della temporaneità, elemento indispensabile per conferire un senso concreto alla definizione formale di specialità. Accade, così, che la legislazione anti-terrorismo non si affianca al sistema normativo ordinario, ponendosi come strumentale al superamento di uno stato di eccezione, ma si ripercuote sul diritto interno integrandosi nell’ordinamento in modo permanente e minando di fatto l’apparato di garanzie fondamentali che costituisce la base delle democrazie moderne.
La lotta contro il nemico globale ha avuto come conseguenza, fra le prime reazioni, l’attacco verso il diverso, ossia verso lo straniero. Nulla di più sbagliato!
In questo triste anniversario, ancora una volta, ci siamo lasciati distrarre da vecchi e nuovi fantasmi: Bin Laden è veramente morto? La crisi economica è anch’essa figlia dell’11 settembre 2001?
La TV ripropone le immagini di distruzione che hanno prepotentemente fatto irruzione nelle nostre vite, forse troppo normali nella loro quotidiana monotonia.
Ricordare è un dovere, anche se non è sempre facile cancellare il dolore e riempire il vuoto.
Ognuno lo fa a modo suo. A me piace ricordare il World Trade Center pullulante di energia vitale, le Twin Towers che sembravano toccare il cielo e la vista dal 106° piano a rischio vertigini anche per chi non ne soffre. New York a 17 anni: oggi tutto questo non sarebbe stato possibile, ma le foto e i ricordi per fortuna rimangono!
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