La Suprema Corte ha ribadito che in caso di licenziamento orale il lavoratore può chiedere che il giudice ne dichiari l’inefficacia entro il termine di prescrizione di 5 anni. In questi casi non si applica infatti la scadenza di 60 giorni che la legge (art. 6 L. 604/66 modificato nel 2010 dal Collegato lavoro Legge n. 183) prevede per impugnare i licenziamenti.
Secondo la Cassazione (pensiero peraltro ribadito in altre sentenze) nel licenziamento orale manca il presupposto stesso per applicare il termine di 60 giorni: la forma scritta. Afferma infatti la legge n. 604: “Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta”. Di conseguenza, ogni qual volta viene a mancare il requisito dell’atto scritto automaticamente decade anche il limite dei 60 giorni.
La sentenza è anche un’occasione per ricordare gli strumenti di tutela del lavoratore in caso di licenziamento intimato in forma orale.
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Licenziamento orale: quali tutele ha il lavoratore
Sulle tutele riservate ai lavoratori licenziati in forma orale è bene distinguere tra coloro cui si applica la Riforma Fornero (chi era in forza al 6 marzo 2015, cosiddetti “vecchi assunti”) e i dipendenti soggetti al regime delle “tutele crescenti” introdotto dal Dlgs. n. 23/2015 nell’ambito della più ampia riforma del Jobs Act, nello specifico:
- Gli assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015;
- Chi è stato trasformato a tempo indeterminato o stabilizzato dopo un periodo di apprendistato a partire dal 7 marzo 2015;
- Dipendenti “vecchi assunti” presso aziende che al 7 marzo 2015 occupavano fino a 15 dipendenti ma in virtù di assunzioni a tempo indeterminato effettuate dopo tale data superano i 15 dipendenti.
Per chi ricade nella Riforma Fornero la tutela in caso di licenziamento orale prevede:
- Reintegrazione nel posto di lavoro occupato prima del licenziamento (luogo e mansioni originarie);
- Risarcimento del danno, pari ad un’indennità non inferiore a 5 mensilità della retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione;
- Il datore deve versare i contributi INPS dal giorno del licenziamento fino alla reintegrazione (oltre alle sanzioni civili per contributi non pagati);
- Se il lavoratore sceglie di non rientrare in azienda, quest’ultima deve erogargli un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita.
I lavoratori soggetti alle regole del Jobs Act hanno diritto a:
- Reintegrazione nel posto di lavoro;
- Risarcimento del danno, pari ad un’indennità non inferiore a 5 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione;
- Versamento dei contributi INPS dal giorno del licenziamento fino alla reintegrazione (oltre alle sanzioni civili per contributi non pagati);
- Se il lavoratore sceglie di non rientrare in azienda, quest’ultima deve erogargli un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.
Licenziamento orale: come opporsi
Come ribadito dalla Cassazione, nei licenziamenti orali il termine per chiedere che il giudice ne dichiari l’inefficacia è pari a 5 anni. L’onere di provare che non si tratta di licenziamento intimato oralmente ricade sul datore, chiamato a dimostrare che è stato rispettato il requisito della forma scritta.
Nella generalità dei casi, invece, il licenziamento dev’essere impugnato entro 60 giorni dalla sua comunicazione, con qualsiasi atto scritto, giudiziale o stragiudiziale, purchè idoneo a rendere nota al datore la volontà del dipendente.
L’impugnazione, per essere efficace, dev’essere seguita, entro il successivo termine di 180 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato.
Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo, il ricorso al giudice dev’essere depositato entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo, a pena di decadenza.
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