Le persone interessate hanno adito il Tribunale dell’Unione europea per chiedere l’annullamentodelle decisioni del Parlamento e per veder condannare il Parlamento a sopportare le spese ai sensi degli articoli 134 e 140 del regolamento di procedura del Tribunale, incluse le spese di ogni interveniente.
Con sentenza [EU:T:2018:602 (Quinta Sezione ampliata)] del 25 settembre 2018 nelle cause da T-639/15 a T-666/15 e T-94/16, il Tribunale ha respinto i ricorsi e confermato le decisioni del Parlamento, negando ai richiedenti l’accesso ai documenti richiesti. Occorre rammentare che, come risulta dall’articolo 1 del regolamento n. 1049/2001, letto, in particolare, alla luce del considerando 4 del medesimo regolamento, la normativa mira a dare la massima attuazione possibile al diritto di pubblica consultazione dei documenti detenuti dalle istituzioni (sentenza del 1° febbraio 2007, Sison/Consiglio, C‑266/05 P, EU:C:2007:75) e che, in base al considerando 11 del regolamento n. 1049/2001, «[i]n linea di principio, tutti i documenti delle istituzioni dovrebbero essere accessibili al pubblico».
Pertanto, il diritto di accesso sancito dal regolamento n. 1049/2001, si riferisce unicamente ai documenti delle istituzioni di cui esse dispongono effettivamente, in quanto tale diritto non può estendersi ai documenti che non sono in possesso delle istituzioni o che non esistono.
Nel caso di specie, tra i documenti richiesti dai ricorrenti figurano non solo documenti relativi alle indennità giornaliere, alle indennità per le spese di viaggio e alle indennità di assistenza parlamentare dei membri del Parlamento, ma anche i documenti che illustrano in dettaglio in che modo e quando i membri del Parlamento di ciascuno Stato membro, in diversi periodi di tempo, hanno speso la loro indennità per spese generali così come le copie delle liste movimenti dei conti bancari dei suddetti membri riguardanti specificamente l’utilizzo dell’indennità per spese generali. Per quanto riguarda i documenti che illustrano in dettaglio in che modo e quando i membri del Parlamento di ciascuno Stato membro, in diversi periodi di tempo, hanno speso le loro indennità per spese generali, il Tribunale rammenta che è pacifico che, ai sensi degli articoli 25 e 26 della decisione dell’Ufficio di presidenza del Parlamento europeo, del 19 maggio e 9 luglio 2008, recante misure di attuazione dello statuto dei deputati al Parlamento europeo (GU 2009, C 159), i membri del Parlamento ricevono, su base mensile, un’indennità forfettaria. Ne consegue che, visto il carattere forfettario dell’indennità per spese generali, il Parlamento non dispone di alcun documento che elenchi in dettaglio, ratione materiae o ratione temporum, l’uso da parte dei propri membri di dette indennità. Per questo motivo, secondo il tribunale, appare giusto che il Parlamento, alla luce dell’articolo 25 della decisione dell’Ufficio di presidenza, abbia dichiarato di non disporre di dati sulle spese effettive sostenute dai membri del Parlamento a titolo di indennità per spese generali e che non era pertanto in grado di divulgare i documenti richiesti a tal titolo.
Per quanto riguarda le liste movimenti dei conti bancari dei deputati, specificamente riguardanti l’utilizzo delle indennità per spese generali, il Parlamento ha spiegato, nelle decisioni impugnate, di non essere in possesso di tali documenti. Secondo il principio della presunzione di legittimità degli atti dell’Unione europea, si presume che il documento cui è stato richiesto l’accesso non esista, qualora l’istituzione interessata lo affermi. Si tratta nondimeno di una presunzione semplice, che chi chiede l’accesso può confutare con tutti i mezzi, in base a indizi pertinenti e concordanti. Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno però addotto nessun elemento in grado contestare l’inesistenza dei documenti controversi. Infatti, i ricorrenti si sono limitati a sostenere di aver avuto difficoltà a credere che il Parlamento non disponesse di tali documenti, dato che quest’ultimo aveva affermato che i meccanismi di vigilanza per l’utilizzo delle indennità dei membri erano sufficienti. Detta dichiarazione non significa assolutamente che il Parlamento era in possesso delle liste movimenti dei conti bancari dei suoi membri, riguardanti specificamente l’utilizzo dell’indennità per spese generali.
Di conseguenza, il Parlamento, nelle decisioni impugnate, ha correttamente respinto le richieste dei ricorrenti riguardanti i documenti relativi alle spese delle indennità per spese generali e le liste movimenti dei conti bancari dei membri del Parlamento, specificamente riguardanti l’utilizzo di dette indennità. I ricorrenti sostengono che le decisioni impugnate sono viziate da illegittimità, in quanto, in sostanza, il regolamento n. 45/2001 non sarebbe applicabile nel caso di specie, poiché i dati in discussione non rientrano nella sfera privata dei membri del Parlamento, ma nella loro sfera pubblica, dal momento che i documenti richiesti si riferiscono all’esercizio della loro funzione di rappresentanti eletti.
In altre parole, la divulgazione dei documenti richiesti, non arrecherebbe pregiudizio alla vita privata e all’integrità dell’individuo, quale definita all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1049/2001, in quanto, anche se contenenti dati personali, questi non riguardano la vita privata dei membri del Parlamento europeo. Al riguardo, il Tribunale ha evidenziato che, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1049/2001, le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela della vita privata e dell’integrità dell’individuo, in particolare in conformità con la legislazione dell’Unione sulla protezione dei dati personali. Si evince da tale legislazione, in particolare dall’articolo 2, lettera a), della direttiva n. 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU 1995, L 281, pag. 31), e dall’articolo 2, lettera a), del regolamento n. 45/2001, che per «dati personali» s’intende qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile.
Nel caso di specie, è evidente che tutti i documenti richiesti contengono informazioni riguardanti persone fisiche identificate. Ciò vale per i documenti di cui dispone il Parlamento relativi alle spese di viaggio e alle indennità giornaliere, le quali logicamente identificano ogni membro del Parlamento coinvolto, non fosse altro che ai fini del pagamento di tali indennità. Lo stesso dicasi per i documenti di cui dispone il Parlamento, relativi alle spese di assistenza parlamentare, i quali ovviamente identificano ogni membro del Parlamento coinvolto e i rispettivi beneficiari di dette indennità, anche solo ai fini del pagamento di tali indennità. Ribadisce il Tribunale che la circostanza che i dati concernenti le persone interessate siano strettamente collegati a dati pubblici riguardanti tali persone, tra l’altro perché sono elencati sul sito Internet del Parlamento, in particolare per quanto concerne i nomi dei membri del Parlamento, non implica affatto che tali dati abbiano perso la loro natura di dati personali ai sensi dell’articolo 2, lettera a), del regolamento n. 45/2001.
In altri termini, la classificazione come dati personali dei dati di cui trattasi non può essere esclusa solo perché tali dati sono connessi ad altri dati che sono pubblici e ciò a prescindere dal sapere se la divulgazione di tali dati arrecherebbe pregiudizio a legittimi interessi delle persone coinvolte. Il Tribunale ha inoltre ricordato che, a norma dell’articolo 15, paragrafo 3, TFUE, qualsiasi cittadino dell’Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, secondo i principi e alle condizioni definiti conformemente al procedimento di cui all’articolo 294 TFUE. Conformemente al suo considerando 1, il regolamento n. 1049/2001 è riconducibile all’intento espresso all’articolo 1, secondo comma, TUE, inserito dal Trattato di Amsterdam, di segnare una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini. Come ricorda il considerando 2 del regolamento 1049/2001, il diritto di accesso ai documenti delle istituzioni è connesso al carattere democratico di queste ultime.
L’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1049/2001 è una disposizione imperativa che esige che l’eventuale pregiudizio alla vita privata e all’integrità dell’individuo sia sempre esaminato e valutato in conformità con la normativa dell’Unione sulla protezione dei dati personali, in particolare con il regolamento n. 45/2001. Tale disposizione prevede, quindi, un regime specifico e rafforzato di tutela di una persona i cui dati personali possano, eventualmente, essere comunicati al pubblico (sentenza del 29 giugno 2010, Commissione/Bavarian Lager, C‑28/08 P, EU:C:2010:378). Ne consegue che, qualora una domanda fondata sul regolamento n. 1049/2001 sia diretta a ottenere l’accesso a documenti che contengono dati personali, le disposizioni del regolamento n. 45/2001 sono integralmente applicabili (sentenza del 29 giugno 2010, Commissione/Bavarian Lager, C‑28/08 P, EU:C:2010:378).
Nel caso di specie, risulta dall’esame del primo motivo dei ricorsi che tutti i documenti richiesti contengono dati personali, quindi le disposizioni del regolamento n. 45/2001 sono integralmente applicabili. Pertanto, nel contesto di decisioni con cui un’istituzione respinge una richiesta di accesso a un’informazione contenente dati personali con la motivazione che essa rientra nell’ambito dell’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 1 lettera b), del regolamento n. 1049/2001, relativa alla tutela della vita privata e dell’integrità dell’individuo, tali dati possono essere trasferiti solo se il destinatario dimostra la necessità del trasferimento e se non vi è motivo di ritenere che tale trasferimento possa ledere gli interessi legittimi della persona coinvolta, a norma dell’articolo 8, lettera b), del regolamento n. 45/2001, che le istituzioni devono rispettare quando viene loro rivolta una domanda di accesso a documenti che contengono dati personali (in tal senso, sentenza del 29 giugno 2010, Commissione/Bavarian Lager, C‑28/08 P, EU:C:2010:378). Emerge pertanto dalla formulazione dell’articolo 8, lettera b), del regolamento n. 45/2001, che esso subordina il trasferimento di dati personali al soddisfacimento di due condizioni cumulative (sentenza del 16 luglio 2015, ClientEarth e PAN Europe/EFSA, C‑615/13 P, EU:C:2015:489).
In tale contesto, spetta a colui che chiede un simile trasferimento dimostrarne la necessità. Se la dimostra, spetta allora all’istituzione interessata verificare se non sussistano ragioni per presumere che il trasferimento in questione possa pregiudicare gli interessi legittimi della persona coinvolta (sentenza del 16 luglio 2015, ClientEarth e PAN Europe/EFSA, C‑615/13 P, EU:C:2015:489). L’articolo 8, lettera b), del regolamento n. 45/2001 impone quindi che l’istituzione adita si dedichi, in un primo tempo, a una valutazione della necessità, e poi proporzionalità, del trasferimento dei dati personali tenendo conto dell’obiettivo perseguito dal richiedente, laddove la soddisfazione del requisito della necessità di cui all’articolo 8, lettera b), del regolamento n. 45/2001, da interpretarsi restrittivamente, implica che il ricorrente dimostri che il trasferimento di dati personali costituisce la soluzione più adeguata fra quelle possibili per raggiungere lo scopo perseguito dal richiedente e che essa sia proporzionata a tale scopo, il che impone al richiedente di fornire giustificazioni esplicite e legittime in tal senso (sentenza del 15 luglio 2015, Dennekamp/Parlamento, T‑115/13, EU:T:2015:497).
Nel caso di specie, al fine di dimostrare la necessità del trasferimento dei dati di cui trattasi, i ricorrenti hanno segnalato vari obiettivi oggetto delle loro richieste di accesso ai documenti, cioè, in sostanza, da un lato, consentire al pubblico di verificare l’adeguatezza delle spese sostenute dai membri del Parlamento nell’esercizio del loro mandato e, dall’altro, garantire il diritto del pubblico all’informazione e alla trasparenza. A tale riguardo, va rilevato anzitutto che, data la loro formulazione troppo ampia e generica, tali obiettivi non possono, di per sé, dimostrare la necessità del trasferimento dei dati personali di cui trattasi. Infatti, al Parlamento non può essere addebitato di non aver dedotto da tali obiettivi, espressi con considerazioni altrettanto ampie e generiche, la dimostrazione implicita della necessità del trasferimento di tali dati personali (in tal senso, sentenze del 23 novembre 2011, Dennekamp/Parlamento, T‑82/09, non pubblicata, EU:T:2011:688 e del 21 settembre 2016, Secolux/Parlamento, T‑363/14, EU:T:2016:521 e giurisprudenza ivi citata). Una tesi contraria obbligherebbe l’istituzione, in linea di principio, a dedurre da considerazioni generiche attinenti all’interesse del pubblico alla divulgazione dei dati personali, la dimostrazione della necessità del trasferimento di tali dati (in tal senso, sentenza del 23 novembre 2011, Dennekamp/Parlamento, T‑82/09, non pubblicata, EU:T:2011:688).
A giudizio del Tribunale il fatto che ricorrenti, nelle loro domande di accesso, hanno fatto riferimento a «numerose frodi commesse dai membri del Parlamento, confermate o presunte in passato», è indice di carattere particolarmente astratto e generico che non può giustificare la necessità del trasferimento dei dati personali. La volontà di creare un dibattito pubblico non è sufficiente a dimostrare la necessità del trasferimento dei dati personali, in quanto tale argomento si collega soltanto allo scopo della richiesta di accesso ai documenti (in tal senso, sentenza del 15 luglio 2015, Dennekamp/Parlamento, T‑115/13, non pubblicata, EU:T:2015:497). Non può riconoscersi alcuna automatica prevalenza dell’obiettivo di trasparenza sul diritto alla protezione dei dati personali. I ricorrenti non hanno presentato né nella domanda iniziale né nelle domande di accesso, ragioni esplicite e legittime per dimostrare che il trasferimento dei dati personali in questione, era la misura più appropriata tra le altre possibili misure, fra cui l’uso dei dati e dei documenti pubblicamente disponibili, al fine di conseguire l’obiettivo da essi perseguito e che essa era proporzionata a tale obiettivo. I ricorrenti hanno poi lamentato la violazione dell’articolo 4, paragrafo 6, lettera b), del regolamento n. 1049/2001, in quanto è stato negato Accesso anche solo parziale, ai documenti richiesti.
I ricorrenti sostengono che il Parlamento non ha effettuato una valutazione concreta e specifica del contenuto dei documenti richiesti, mentre avrebbe dovuto, quantomeno, divulgare i documenti richiesti che non erano coperti da un’eccezione e che la divulgazione di tali documenti, anche parziale, avrebbe risposto all’obiettivo perseguito dalle loro domande di accesso. A tale riguardo, il Tribunale ha rilevato che il Parlamento ha correttamente ritenuto che l’oscuramento di tutti i dati personali, contenuti nei documenti richiesti avrebbe comportato eccessivi oneri amministrativi. E’ chiaro che la divulgazione di una versione dei documenti richiesti, espunta di tutti i dati personali, compresi, in particolare, quelli riguardanti i nomi dei membri del Parlamento interessati, avrebbe privato l’accesso a tali documenti di qualsiasi utilità in relazione a tali obiettivi, dato che un accesso di tal sorta non avrebbe consentito ai ricorrenti di fare un riscontro delle spese dei singoli membri del Parlamento, vista l’impossibilità di ricollegare i documenti richiesti alle persone coinvolte.
In ogni caso, non è sensatamente contestabile che l’oscuramento di tutti i dati personali contenuti nei documenti richiesti comportasse un onere amministrativo eccessivo, considerato il volume dei documenti richiesti. Il Parlamento, nelle decisioni impugnate, ha stimato il numero dei documenti contabili e finanziari relativi ai rimborsi delle spese di viaggio e delle indennità giornaliere dei membri del Parlamento europeo in oltre 220 000 all’anno, circostanza oggettiva a giustificare, secondo il Tribunale, il rigetto anche della domanda di Accesso parziale a tali documenti.
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