La proposta di legge la cui relazione muove dalla proclamata esigenza di contrastare “la contraffazione a mezzo della rete internet, così come la vendita attraverso questi canali telematici di prodotti la cui commercializzazione è riservata attraverso canali autorizzati (come i farmaci)” mira, in realtà, ad introdurre nel nostro Ordinamento un più stringente regime di responsabilità per i c.d. intermediari della comunicazione: fornitori di servizi di hosting, caching e mere conduit.
Il tentativo di mascherare il reale obiettivo perseguito con l’inesistente volontà di lottare contro la distribuzione illegale di farmaci online è semplicemente ridicolo, ipocrita ed offensivo per l’intelligenza di chiunque mastichi anche solo un po’ di giuridichese e ricorda certe iniziative censoree, non nuove nel nostro Parlamento, nell’ambito delle quali, ad esempio, si è già tentato di mascherare iniziative a tutela dei soliti diritti patrimoniali d’autore con inesistenti intenti antipedofilia.
Difficile immaginare un’iniziativa legislativa in materia di disciplina di internet più inopportuna e più palesemente figlia di inconfessabili ed inconfessate azioni di pressione dei poteri forti dei titolari dei diritti sul nostro Parlamento.
Probabilmente, nel prestare nome e firma ad una simile iniziativa, l’On. Fava non si è avveduto che il suo disegno di legge si occupa della stessa identica materia oggetto del regolamento che l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni si avvia, tra mille polemiche, a varare e, soprattutto, nessuno gli ha raccontato – per ovvie ragioni – che proprio la disciplina sulla responsabilità degli intermediari della comunicazione contenuta nella Direttiva e-commerce che la sua iniziativa mira a modificare, forma, in questi mesi, oggetto di un processo di revisione da parte dell’Unione Europea, con il risultato che il nostro Paese rischia di perdere tempo e risorse ad elaborare un provvedimento destinato ad essere travolto da una prossima nuova Direttiva UE.
Ma cosa, dell’attuale quadro normativo in materia di responsabilità degli intermediari della comunicazione il disegno di legge dell’On. Fava, vorrebbe modificare?
La risposta è semplice e, ad un tempo, disarmante: praticamente tutto.
Cominciamo dal principio.
Secondo l’On. Fava, un fornitore di hosting, dovrebbe essere ritenuto responsabile ogni qualvolta non si attivi per dar corso alla rimozione di un contenuto e/o alla disabilitazione al suo accesso, segnalatogli come illecito non già da un’Autorità – benché solo amministrativa – come attualmente previsto, ma da un qualsiasi cittadino.
In altre parole, Google, tanto per fare un esempio, dovrebbe procedere alla rimozione di un video da YouTube ogni qualvolta che un privato cittadino gli domandasse di procedere in tal senso, ritenendo illecita la pubblicazione di quel contenuto perché in violazione di propri asseriti diritti di proprietà intellettuale e/o piuttosto alla privacy o, ancora, all’onore o alla reputazione.
L’approvazione di una simile disposizione di legge che stabilisce un principio di segno diametralmente opposto a quello sancito nella disciplina europea sul commercio elettronico, significherebbe la fine della Rete come spazio pubblico di condivisione delle idee, confronto ed informazione.
E’, infatti, evidente che i grandi intermediari della comunicazione, pur di sottrarsi ad eventuali contestazioni, si vedrebbero costretti a rimuovere tutto a go go, con la conseguenza che nessun contenuto sgradito ai potenti sarebbe più disponibile online e che chiunque diverrebbe libero di farsi giustizia da sé in materia di proprietà intellettuale e reati di opinione.
E’ uno scenario ben più inquietante di quello che pure ha fatto tanto discutere che verrebbe a realizzarsi qualora l’AGCOM varasse l’annunciata nuova disciplina sulla tutela dei diritti d’autore online.
In quel caso, infatti, la rimozione di un contenuto sarebbe, almeno, conseguenza di un provvedimento adottato da un’Autorità amministrativa, sebbene semi-indipendente, mentre in questo, la censura dell’altrui pensiero e/o creatività sarebbe conseguenza diretta di una forma di auto-(in)giustizia tra privati.
Ci ritroveremmo di fronte ad un autentico esperimento di privatizzazione della giustizia in una materia delicata come quella della libertà di manifestazione online.
Ma c’è di più.
Secondo l’On. Fava, infatti, perché un intermediario della comunicazione possa sottrarsi alla propria responsabilità per i contenuti pubblicati online dai propri utenti, sostenendo di aver tenuto un comportamento diligente, quest’ultimo dovrebbe, addirittura, adottare, in via preventiva, un interminabile sequenza di filtri automatici.
Il disegno di legge, prevede, infatti, che l’intermediario debba provvedere a “l’adozione di filtri tecnicamente adeguati che non abilitino l’accesso ad informazioni dirette a promuovere o comunque ad agevolare la messa in commercio di prodotti o di servizi, in quanto tali informazioni contengano parole chiave che, negli usi normali del commercio, indicano abitualmente che i prodotti o i servizi a cui si applicano non sono originali, usate isolatamente o in abbinamento a un marchio o a un segno distintivo di cui il destinatario del servizio non abbia di- mostrato di essere il titolare o il licenziatario; l’adozione di filtri tecnicamente adeguati che non abilitino l’accesso ad informazioni dirette a promuovere o comunque ad agevolare la messa in commercio di prodotti o di servizi la cui descrizione corrisponde alla descrizione di prodotti o di servizi contraffattori, che i titolari dei diritti di proprietà industriale ad essi relativi abbiano preventivamente comunicate al prestatore del servizio”.
Come se tanti filtri da bloccare, sostanzialmente, l’intero funzionamento della Rete non bastassero, l’On. Fava, nel suo disegno di legge – rectius nel disegno di legge scritto per lui da qualche lobbista in erba con poco senso della realtà, zero responsabilità istituzionale e scarsa conoscenza della Rete – aggiunge, inoltre che “Al fine di prevenire la violazione delle norme sulla commercializzazione di prodotti o di servizi soggetti a limitazioni legali nella vendita o nella fornitura, tale dovere di diligenza comprende tra l’altro: l’adozione di filtri tecnicamente adeguati che non abilitino l’accesso ad informazioni dirette a promuovere o comunque ad agevolare la messa in commercio di prodotti o di servizi, la cui commercializzazione è riservata a canali di vendita o di fornitura particolari o richiede la prescrizione medica”.
Sarebbe, dunque, compito dei provider – trasformati, per l’occasione in sceriffi della Rete – impedire quel commercio elettronico di farmaci che, sin qui, leggi, frontiere ed Autorità giudiziarie e di polizia non sono, comprensibilmente, riusciti né a bloccare né a limitare.
E’ un’iniziativa legislativa liberticida quella proposta dall’On. Fava che deve essere bloccata sul nascere perché si corre, altrimenti, il rischio di coprire di ridicolo il nostro Paese e, soprattutto, di renderlo un’isola a “libertà d’informazione zero” in un contesto globale, finalmente, libero o, almeno, più libero di ieri.
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