In particolare, il comma 1 dell’art. 2-bis espone che per “pubbliche amministrazioni” s’intendono quelle di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 tra cui sono espressamente ricomprese le Regioni. Nel d.lgs. 33/2013, il rinvio al d.lgs. 165/2001 è quindi esplicitamente operato dal legislatore per la identificazione dei soggetti tenuti al rispetto della disciplina sulla trasparenza.
Ai sensi dell’art. 1, comma 15, della L. 190/2012 e dell’art. 1, comma 3, del d.lgs 33/2013, la pubblica trasparenza è intesa quale livello essenziale delle prestazioni erogate dalle pubbliche amministrazioni a fini di controllo istituzionale e sociale, prevenzione e contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma dell’art. 117, comma 2 lett. m) della Carta Costituzionale.
Di conseguenza la trasparenza pubblica deve essere garantita su tutto il territorio nazionale, non residuando margini disciplinari “speciali”, al di sotto dei livelli minimi fissati nella normativa statale.
Ad analisi approfondita si rileva che l’art. 49, comma 4, del d.lgs. 33/2013, prescrive che le Regioni a statuto speciale possono individuarne forme e modalità di applicazione in coerenza con le peculiarità dei propri ordinamenti.
Con la Delibera in esegesi, l’ANAC chiarisce (finalmente) che ciò comporta che non possono comunque essere ammesse da parte delle Regioni a statuto speciale (e delle province autonome), deroghe alle disposizioni del d.lgs.33/2013 con effetto limitante o condizionante gli obblighi di trasparenza, ma solo ed esclusivamente mezzi e metodologie concretamente attuativi delle suddette disposizioni e, giammai, al di sotto dei livelli minimi fissati nella normativa nazionale.
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