La Suprema Corte ha accolto il ricorso di un dipendente avverso il decreto del Tribunale con cui si era esclusa l’ammissione allo stato passivo di somme relative a stipendi perché, a detta del giudice, colpite da difetto di prova dovuto alla mancata produzione del cedolino, fornita solo su supporto elettronico.
Interpretazione del d.m. 44/2011
Nel proporre ricorso in Cassazione il dipendente lamenta da parte del Tribunale un’erronea interpretazione del Decreto ministeriale n. 44/2011 recante le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Si ricorda che il Decreto n. 44 è stato emanato in attuazione del Dlgs. 82/2005 in base al quale il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta ogniqualvolta è apposta la firma digitale.
Inoltre, aggiunge il Decreto legge n. 193/2009, nelle controversie civili e penali tutte le comunicazioni e notificazioni si effettuano mediante posta elettronica certificata. A tal proposito, stabilisce l’art. 4 del Decreto ministeriale n. 44/2011, il Ministero di Giustizia e gli uffici giudiziari devono dotarsi di un proprio indirizzo PEC.
La Cassazione sottolinea che l’insinuazione allo stato passivo di somme a titolo di stipendi, effettuata senza l’osservanza delle specifiche tecniche richieste dal Decreto n. 44 (cioè con la semplice presentazione di una busta paga in formato elettronico) non è di per sé censurabile in quanto avvenuta prima del 18 maggio 2011 data di entrata in vigore dello stesso Decreto.
Sempre la Suprema Corte afferma che in base all’articolo 99 comma 2 n. 4 della Legge fallimentare il dipendente, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, si legge nella sentenza, deve soltanto “indicare specificatamente i documenti di cui intende avvalersi, già prodotti nel corso della verifica dello stato passivo innanzi al giudice delegato, sicché, per altro, in difetto della produzione di uno di essi, il Tribunale deve disporre l’acquisizione del fascicolo d’ufficio”.
Ne consegue che la documentazione già presentata nella fase di insinuazione allo stato passivo (ivi compresa la busta paga in formato elettronico) doveva essere senz’altro esaminata dal Tribunale. Circostanza non avvenuta.
In ultimo la Cassazione rileva che ai sensi dell’articolo 2712 c.c. per tutte le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, e in genere ogni rappresentazione meccanica di fatti e di cose (nel caso in commento la documentazione fornita dal dipendente era contenuta in un CD-ROM) è onere della parte interessata contestarne la conformità all’originale. In difetto di tale opposizione, gli elementi contenuti su supporto digitale vengono qualificati come prove.
Cedolino in formato elettronico è prova delle somme spettanti al dipendente
Considerando che nella controversia in parola il datore di lavoro non ha in alcun modo contestato la documentazione contenuta nel CD-ROM, secondo la Suprema Corte tale documentazione informatica deve ritenersi a tutti gli effetti elemento di prova per determinare le maggiori somme spettanti al dipendente.
Della sentenza commentata resta il dubbio sull’orientamento che la Cassazione prenderà in future simili controversie, laddove il materiale probatorio sia viziato per ragioni tecniche attinenti alle modalità di comunicazione ma la controparte non ne abbia contestato la conformità all’originale cartaceo ai sensi dell’articolo 2712 c.c.
Nella sentenza in parola, il problema non si è posto per via dell’insinuazione allo stato passivo avvenuta in un momento precedente rispetto all’entrata in vigore del Dm, ma c’è la certezza che in un momento storico di forte diffusione di sistemi di pubblicazione online dei prospetti paga, l’interrogativo sia solo rinviato.
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