Le ragioni sono ormai conosciute: alle Elezioni 2018 il MoVimento 5 Stelle ha ottenuto più seggi come lista singola, mentre il centrodestra capitanato dalla Lega Nord ha raggranellato più rappresentanti in quanto coalizione. Nessuno dei due schieramenti, però, può dirsi autosufficiente, dal momento che tutti si trovano ben al di sotto delle soglie di maggioranza per poter appoggiare un governo.
Il compito di Mattarella, in questo senso, si preannuncia tutt’altro che facile: Di Maio pretende l’incarico in quanto candidato premier della forza più votata, Matteo Salvini al contrario si dice convinto di poter costruire un governo con gli alleati di centrodestra. In tutto questo, sembra ben al di fuori il Partito democratico, più alle prese con beghe interne per analizzare il crollo alle urne anziché sfruttare l’occasione di fungere da ago della bilancia.
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Quel che sembra chiaro, almeno a sentire le dichiarazioni del dimissionario Renzi e dei suoi fedelissimi, è che il Pd mai appoggerà un esecutivo guidato dai 5 Stelle, memore dei tanti scontri – a volte anche molto accesi – nella passata legislatura. Allo stesso modo, risulta molto difficile credere che per le stesse ragioni potrà nascere un governo centrodestra + Partito democratico, viste le divergenze in materia anzitutto di Europa e di immigrazione.
Quali opzioni restano sul campo dopo le Elezioni 2018?
Naturalmente, molto chiacchierato rimane il matrimonio Di Maio-Salvini, unione che in realtà non gioverebbe a nessuno dei due leader, né tantomeno alle forze che li rappresentano. Malgrado alcune narrazioni tendano ad assimilare Lega e M5S, programmi, prerogative e – soprattutto – elettori dei due partiti si differenziano non poco: il rischio di mettersi insieme per un governo ”antisistema” è troppo alto in termini di perdita di consenso.
Un’altra strada praticabile è sempre quella di un governo del Presidente, cioè una maggioranza che possa spuntare all’improvviso tra i corridoi delle due Camere, magari con qualche transfugo di fresca elezione che possa sentire il richiamo di una personalità dal forte appeal.
In questo senso, si tratterebbe a tutti gli effetti di un esecutivo tecnico, che però, e questo è il rischio che il Quirinale non vuole correre, potrebbe rafforzare ancora di più il vento in poppa ai due partiti vincitori della contesa elettorale.
Allora, può darsi che, eletti a fatica i presidenti di Camera e Senato, Luigi Di Maio e Matteo Salvini si incontrino, guardando in faccia la realtà: mettere a punto un esecutivo lampo, della durata di pochissimi giorni, necessario per portare in Parlamento una nuova riforma della legge elettorale gradita alle due forze più votate. In questo caso, non sarebbe necessario un ricorso alla fiducia come avvenuto con il Rosatellum poiché i due gruppi avrebbero numeri a sufficienza per la duplice approvazione.
Una legge in grado di fornire una maggioranza chiara a seguito delle elezioni che metta in soffitta l’esperimento fallito dell’uninominale mischiato ai listini. Una sorta di tregua, prima di tornare alle urne entro l’autunno e giocarsi, così, la sfida finale dove, però, un vincitore questa volta emerga sul serio.
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