La creazione dei Centri di Servizi per il Volontariato è prevista nelle città metropolitane istituite con la legge n. 56/2014, dimenticando Palermo, Catania, Messina e Cagliari, volute da leggi regionali. L’art. 2, comma 2, del D.L. n. 193/2016, dispone che a decorrere dal 1° luglio 2017, le amministrazioni locali possono deliberare di affidare al soggetto preposto alla riscossione nazionale le attività di riscossione, spontanea e coattiva, dimenticando che in Sicilia non opera l’agente della riscossione nazionale ma Riscossione Sicilia.
Ogni tanto qualche cartografo dimentica la Sicilia e disegna l’Italia senza una delle due isole maggiori. Cristo si è fermato ad Eboli e, quindi, dove sta la Sicilia forse lo sconosceva.
Dove sia collocata l’Isola lo sapevano i greci, gli arabi, i normanni, gli spagnoli ed i romani e lo sanno milioni di immigrati.
Il Parlamento italiano conosceva l’esistenza di quel triangolo di terra, ma l’ha posto nell’oblio. Ogni tanto qualcuno se ne rammenta e, per non scordarlo più, propone di attaccarla all’Italia con un ponte, come fare un nodo al fazzoletto.
Intanto il legislatore nazionale produce norme, dimenticando di dire cosa succede in quel pezzo d’Italia, al quale il costituente ha concesso autonomia legislativa primaria in alcune materie ed il cui statuto speciale ha forza di legge costituzionale.
Così capita, ad esempio, che, l’art. 61, secondo comma, dello schema di decreto legislativo recante il “Codice del terzo settore” preveda che l’Organismo Nazionale di Controllo (fondazione con personalità giuridica di diritto privato, costituita con decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) accrediti un Centro Servizi per il Volontariato per ogni città metropolitana e per ogni provincia con territorio interamente montano e confinante con paesi stranieri, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56.
La Sicilia non ha istituzioni di area vasta con territorio solo montano e, comunque, l’Isola confina solo con il mare (anche se oltre il Mediterraneo ci sono paesi stranieri da cui partono milioni di disperati) ma non ha più le province (sostituite, almeno nominalmente, dai Liberi consorzi) e le città metropolitane non sono istituite ai sensi della L.r. n. 56/2014 (cosiddetta legge Delrio).
Appare evidente che Palermo, Catania e Messina e il capoluogo sardo Cagliari non possano essere penalizzate soltanto perché, pur essendo città metropolitane, non sono state istituite con la legge Delrio. Pura, ma significativa, dimenticanza.
Dal punto di vista sostanziale non cambia molto poiché Palermo e Cagliari ospiterebbero, comunque, il CSV, giacché lo schema prevede almeno un centro per ogni Regione, mentre Catania e Messina dovrebbero esserne sede, poiché la Sicilia aspira ad averne tre (uno ogni milione di abitanti non residenti nell’ambito territoriale della città metropolitana, nel rispetto del limite del numero precedentemente assegnato.
Il mancato riconoscimento, per gli effetti della legge, del titolo di città metropolitane (concesso, secondo lo schema, solo a quelle istituite con la legge Delrio), sarebbe, però, uno schiaffo alla specialità degli statuti.
E’ comprensibile che citare le varie norme che hanno provato a disciplinare (senza ancora riuscirci pienamente) le città metropolitane siciliane avrebbe nociuto alla facile leggibilità della disciplina , ma poteva farsi riferimento, oltre che ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56, genericamente anche alla normativa delle regioni a statuto speciale.
Le città metropolitane istituite con norme differenti dalla legge Delrio (per dimensione demografica, tra quattordici presenti in Italia, sono la quinta: Palermo; la settima: Catania; la dodicesima: Messina; la quattordicesima; Cagliari), avranno, quasi sicuramente, secondo logica, il loro Centro Servizi per il Volontariato, ma occorrerà una correzione allo schema per dare pari dignità alle città metropolitane volute con legge regionale.
Più grave quanto succede, poi, con l’art. 2, comma 2, del D.L. n. 193/2016, così come sostituito dall’art. 35 del D.L. n. 50/2017, che ha disposto che “A decorrere dal 1° luglio 2017, le amministrazioni locali di cui all’articolo 1, comma 3, possono deliberare di affidare al soggetto preposto alla riscossione nazionale le attività di riscossione, spontanea e coattiva…”.
In Sicilia, però, il soggetto preposto alla riscossione nazionale non opera. In molte leggi precedenti, un legislatore più attento, se ne era ricordato, parlando di Equitalia, delle società dalla stessa partecipate, ma anche di Riscossioni Sicilia.
Dal 1° luglio 2017, l’art. 1 del D.L. n. 193/2016, le società del Gruppo Equitalia subiscono lo scioglimento per legge, mentre l’attribuzione dell’esercizio delle funzioni relative alla riscossione nazionale passa all’Agenzia delle entrate ed in particolare all’ente pubblico economico strumentale dell’Agenzia delle entrate, denominato “Agenzia delle entrate-Riscossione”.
La normativa, purtroppo, parla di “soggetto preposto alla riscossione nazionale” senza fare alcun accenno alla peculiarità della Sicilia e senza disciplinare i rapporti tra i comuni isolani e Riscossione Sicilia.
Il servizio regionale di riscossione è stato istituito, nei limiti di legittimità stabiliti nello statuto e nelle norme di attuazione dello stesso, con la legge regionale n. 35 del 5 settembre 1990, la quale ha recepito i propositi, dichiarati nelle precedenti norme regionali, di non discostarsi dal resto del territorio nazionale nell’organizzazione di un analogo servizio, svolgendo le sue funzioni contemporaneamente per conto della Regione e dello Stato.
Con l’art. 2 (commi dall’1 al 10) della l.r. 22 dicembre 2005 n. 19, viene recepito in Sicilia l’art.3 del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni nella legge 2 dicembre 2005, n. 248, contenente la riforma statale del servizio di riscossione dei tributi a mezzo ruolo.
In considerazione delle novità introdotte, a livello nazionale, dal decreto legge n. 203/2005, la riforma prevista dall’art. 2 della l.r. n.19/2005 si è proposta di assicurare l’armonizzazione dei sistemi di riscossione (nazionale e regionale) effettuando l’adeguamento dell’ordinamento giuridico siciliano, caratterizzato da leggi di settore che risultavano in gran parte superate.
Nell’introdurre la riforma in Sicilia, fu deciso di rispettare, nelle linee generali, l’impianto dell’art. 3 del D.L. n. 203 del 2005, prevedendo la costituzione di una parallela società pubblica per azioni, alla quale si applicano gli stessi obblighi e diritti previsti per la società costituita in ambito nazionale, prima Riscossione S.p.A., poi Equitalia S.p.A. e dal 1° luglio 2017 Agenzia delle Entrate – Riscossioni.
Finora è stato assodato che, dove in italiano si scriveva Equitalia, in Sicilia si leggeva Riscossione Sicilia. Se così continuasse ad essere, però, lo scioglimento di Equitalia dovrebbe comportare l’eutanasia della società di riscossione siciliana. La legge dello Stato, però, non può sciogliere un soggetto creato con legge regionale, in forza della specialità dello statuto.
Allora, oggi, in siciliano si dovrebbe leggere sempre Riscossione Sicilia quello che in italiano s’inizia a scrivere Agenzia delle entrate-Riscossioni.
La norma nazionale, però, questo non lo dice. S’intuisce e ci si arriva per logica deduttiva ma una parolina il legislatore del continente (come dagli isolani vengono indicati coloro che vivono dalla Calabria in su) poteva anche spenderla.
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