In aula, più che il tentativo di dare una legge elettorale al Paese, è andato in onda lo psicodramma di una classe politica che ha dimostrato totale incapacità di dare al Paese la base su cui costruire non solo le future riforme, ma anche lo svolgimento stesso della convivenza democratica.
Sembrava fin troppo bello per essere vero: finalmente i quattro principali partiti a Camera e Senato avevano trovato un’intesa, riuscendo ad abbozzare e una soluzione a un problema che si trascina dal 2005, quando venne approvato il Porcellum, così definito dal suo stesso ideatore Roberto Calderoli.
Da allora, si sono tenute tre elezioni politiche, e si sono susseguite crisi di governo, possibili compravendite di senatori, accordi e accordicchi tra fazioni, fuoriuscite da gruppi parlamentari e la nascita di formazioni inedite e di dubbia forza elettorale. Senza contare, poi, quell’Italicum cassato a seguito della bocciatura del referendum costituzionale e del colpo di grazia ricevuto dalla stessa Corte, che ne ha decretato la parziale illegittimità come per il Porcellum.
Insomma, un caos senza precedenti, da cui il patto sul modello tedesco rivisitato – pur con le tante imperfezioni – pareva pronto a tirarci fuori. E invece, al primo banco di prova, l’accordo si è sfaldato come un castello di carte.
Le avvisaglie si erano avute già al voto delle pregiudiziali di costituzionalità, anticamera a Montecitorio, su cui si erano messi in luce i primi franchi tiratori, che approfittando del voto segreto avevano contravvenuto alla linea ufficiale.
Voto segreto che, però, non è rimasto tale l’indomani, quando, all’esame di uno dei tanti emendamenti, improvvisamente si è acceso – per una errore tecnico – l’arco luminoso che evidenzia le votazioni palesi, quello che era un sospetto è diventato improvvisamente una certezza. La maggioranza ipotizzata era tale solo sulla carta e tra Pd e MoVimento 5 Stelle sono partite le accuse incrociate di voler far saltare il banco. Del resto, che la situazione tra i grillini non fosse del tutto definita lo aveva confermato la sera precedente il post sul blog del leader, che invitava gli iscritti a riesprimersi sul testo approdato in aula e più volte modificato.
Infine, la débacle conclusiva: all’esame su un emendamento proprio a firma M5S, che avrebbe uniformato il sistema elettorale per il Trentino-Alto Adige, c’è stato il tracollo del sistema tedesco. Secondo i pentastellati, la regione autonoma avrebbe dovuto adottare un sistema elettorale identico al resto del Paese, posizione in disaccordo con il Pd, solido alleato della forza autonomista Svp, che invece caldeggiava il mantenimento di un maggioritario puro nella regione di confine. A rafforzare questa posizione, hanno detto alcuni esponenti democratici, anche un trattato del 1946 che stabilì i rapporti tra Stato italiano e territorio altoatesino.
Si è così giunti allo scontro totale messo in onda dai tg, che ha rimescolato le carte. Ora, non è escluso che i partiti non cerchino una soluzione estrema, ma dopo questo precedente è scontato che le posizioni saranno ancora più rigide. Anche la data delle elezioni, che pareva ormai quasi fissata tra settembre e ottobre, sembra tornare fortemente in discussione. Con il 2018 improvvisamente vicinissimo. A meno che Gentiloni, preso atto della tensione parlamentare anche dentro la maggioranza, non decida di recarsi per una visita al Quirinale dall’unico significato possibile: dimissioni.
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