Nelle giornate precedenti le urne, un quadro di equilibrio mai visto pareva delinearsi, con quattro candidati sostanzialmente appaiati, pronti a giocarsi le proprie chance di arrivare nelle prime due posizioni e sfidarsi così per l’Eliseo. Ma poi, fin dai primissimi exit poll, per una volta verrebbe da dire, era apparso chiaro che i sondaggi ci avevano azzeccato: e cioè, che, seppur di poco, François Fillon del centrodestra e Jean-Luc Melenchon dell’estrema sinistra erano tagliati fuori dal secondo turno.
I dati definitivi sono i seguenti:
Emmanuel Macron (En Marche!) 23,9%
Marine Le Pen (Front National) 21,4%
François Fillon (Ump) 19,9%
Jean-Luc Mélenchon (Gauche) 19,6%
Benoit Hamon (Psf) 6,4%
Eclatante la debacle del partito socialista francese: dopo i cinque disastrosi anni di Hollande alla presidenza, il bacino di voti si è quasi estinto, una sconfitta che il candidato Hamon non ha esitato a definire “storica”.
Più risicata, e dunque più amara, la sconfitta per Fillon e Mélenchon, arrivati entrambi a meno di due punti dal ballottaggio contro Macron. Il loro risultato va comunque letto in maniera opposta: da una parte Fillon, nonostante gli scandali che lo hanno colpito, è riuscito a mantenere il consenso di un elettore su cinque, lasciando presagire nuove opportunità in futuro per la destra gollista. Dall’altra, invece, l’esperto Mélenchon ha raggiunto forse il risultato più insperato di tutta la carriera, arrivando a un soffio dal secondo turno. Sicuramente, il suo messaggio antisistema e di sinistra ha saputo raccogliere l’appoggio di tanti delusi dal Partito socialista.
Ma chi è riuscito meglio in questa impresa è certamente Emmanuel Macron, fondatore del movimento politico “En Marche!” che si professa equidistante da destra e sinistra, più centrale che “centrista”. Il 39enne ex ministro di Hollande potrebbe così diventare, tra quindici giorni, il più giovane presidente di sempre della Repubblica francese: riuscendo ad attirare l’appoggio dei socialisti più moderati e di alcuni centristi d’antan come François Bayrou, Macron ha saputo intercettare quella necessità di superare gli schemi del passato, avvertita in Francia soprattutto a sinistra.
Se si confrontano, infatti, la mappa delle elezioni 2012 e quella di ieri, si può notare come laddove cinque anni fa prevalevano i socialisti, oggi la maggioranza abbia convintamente scelto Macron. Si tratta soprattutto delle regioni più industrializzate e dei grandi centri urbani, dove il messaggio di rottura di Marine Le Pen non è riuscito a sfondare.
Dal canto suo, però, la leader della destra estrema totalizza il maggior numero di voti mai raggiunto da un candidato del Front National, che per la prima volta approda al ballottaggio superando il 20%. Il suo sostegno sembra avere, non a caso, vari punti in comune con il popolo della Brexit: regioni rurali, in cui la crisi economica ha colpito duro e il mercato globale, rappresentato dalle istituzioni europee, viene avvertito come un nemico anziché un’opportunità di rilancio.
La fine dei partiti
E così, per la prima volta dall’inizio della V Repubblica, né il candidato di centrodestra né quello di centrosinistra approdano al ballottaggio, segno che il modello tradizionale dei partiti politici è in piena crisi anche in Francia, la culla dello Stato sociale e degli ideali patriottici.
Le categorie del passato non fanno più presa sugli elettori, che identificano volti e sigle delle forze politiche classiche con un establishment incapace di guidare le trasformazioni sociali e, anzi, di spingerle in direzione contraria ai bisogni della popolazione.
Questa è la lettura prevalente, ed è certamente valida in relazione al Partito socialista, di cui ormai rimangono esclusivamente le macerie, tra lotte interne, debolezza amministrativa e una presidenza, quella uscente, già agli annali come una delle più fallimentari di sempre.
Leggermente diverso il discorso per i gollisti: se è vero che oggi subiscono il sorpasso da destra del Front National, il 20% raccolto a Fillon è un risultato comunque positivo, alla luce delle rivelazioni che lo hanno messo in cattiva luce agli occhi dell’opinione pubblica.
Un quadro che definire precario è riduttivo, e in cui ha saputo insinuarsi con astuzia Macron, slegandosi dai socialisti e fondando il proprio movimento nell’aprile 2016. Riuscendo a intuire la crisi del bipolarismo e, insieme, la rimonta delle dottrine populiste, oltre all’elevato tasso di personalizzazione delle formazioni politiche, dopo un solo anno di vita “En Marche!” porta il suo leader e unico rappresentante in pole position per l’Eliseo.
Secondo gli instant poll successivi alle urne, infatti, i francesi accorderebbero oltre il 60% delle preferenze il 7 maggio, in virtù dell’immediato appoggio ottenuto da Fillon e di quello assai probabile degli ex amici socialisti. Assai più ardua la strada per l’Eliseo di Marine Le Pen: per aggiungere il 29% di voti mancanti al suo gruzzolo, dovrà convincere contemporaneamente popolari repubblicani, euroscettici di sinistra e astenuti: una missione non impossibile, basti guardare a Donald Trump, ma tremendamente complicata.
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