Lo scontro finale tra Partito democratico e MoVimento 5 Stelle sarà sui vitalizi. Lo hanno capito tutti, a Roma e non solo, che sull’argomento delle pensioni ai politici si giocherà la partita decisiva in vista delle elezioni che avranno luogo entro un anno.
Ecco perché nelle ultime ore lo scontro si è fatto così acceso ed ecco perché, di fronte all’incalzare dei Cinque Stelle, il Pd ha cercato di controbattere. Sono state presentate due proposte, una dal “candidato premier in pectore” di Beppe Grillo, Luigi Di Maio, e l’altra dal deputato democratico e braccio destro di Renzi, Matteo Richetti.
Entrambe, vanno nella direzione di modificare lo status quo, che al momento vede un governo e un Parlamento in scadenza, ma con impressa la data del prossimo 15 settembre, quando, in base alla legislazione vigente, gli attuali eletti alle Camere potranno maturare il diritto al trattamento previdenziale. Secondo le attuali disposizioni, infatti, a coloro che hanno fatto l’ingresso in Parlamento per la prima vola con le elezioni 2013, sono necessari 4 anni, 6 mesi e 1 giorno per ottenere la possibilità di una pensione di circa mille euro, che verrà conferita al deputato o al senatore al compimento del 65esimo anno di età. Qualora gli anni in emiciclo diventino 10 – due legislature – l’assegno pensionistico scatterebbe al compimento dei 60, dunque i misura ben diversa ai comuni cittadini, i quali già dal 2018 vedranno innalzarsi l’età minima a 66 anni e 7 mesi.
Questo, in base alla riforma del 2012 voluta dal governo di Mario Monti e ratificata dall’Ufficio di presidenza della Camera, il quale abolì di fatto i vitalizi intesi in senso classico per i neo eletti, modificando anche i requisiti per l’accesso alle pensioni nei termini oggi in vigore, ma senza equiparare il destino dei politici a quelli degli elettori. Una lacuna su cui oggi si decide il futuro della scena politica del Paese.
Cosa prevedono le proposte di M5S e Pd
Per Di Maio e i suoi, sarebbe sufficiente l’approvazione di una duplice delibera, tra Camera e Senato, in grado di modificare il quadro attuale senza ricorrere a un testo di legge che richiederebbe tempi più lunghi per le approvazioni tra Montecitorio e palazzo Madama. “Non è una proposta di legge, non si può arenare tra Camera e Senato – ha detto Di Maio – sarà sufficiente per una trentina di parlamentari votare una delibera di venti righe”.
Nell’ottica dei grillini, a deputati e senatori dovrà applicarsi il medesimo criterio già in vigore per i lavoratori post 1996, ossia successivi alla legge di riforma del governo Dini. In due parole: contributivo per tutti, in base alla cassa a cui i singoli politici risultino iscritti. Una volta votata la delibera, il giorno successivo la stessa entrerebbe in funzione.
Ciò che difetterebbe, secondo i democratici, dalla proposta M5S è il mancato intervento su quanti il vitalizio già lo percepiscono, anche in misura di diverse migliaia di euro nette al mese, pur avendo totalizzato pochissime presenze in aula nei decenni passati. Una posizione, questa, condivisa dal presidente Inps Tito Boeri, il quale ha comunque giudicato con favore la delibera avanzata da Di Maio e soci.
Ecco il testo integrale dal profilo Facebook di Luigi Di Maio
La controproposta rilanciata da Richetti – presentata in Parlamento nel luglio 2015 QUI IL TESTO – andrebbe a intaccare anche quel privilegio oggi riconosciuto a tanti ex parlamentari, coinvolgendoli interamente contributivo valido per i parlamentari oggi in carica. Il cuore della proposta Pd sarebbe l’equiparazione dello status previdenziale dei politici – inclusi i consiglieri regionali – a quello dei dipendenti pubblici, con l’istituzione presso l’Inps di una gestione separata esclusiva per i parlamentari, con autonomia gestionale e finanziaria.
A differenza dei Cinque Stelle, però, questa proposta assume la forma di un vero e proprio disegno di legge che dovrebbe essere approvato da entrambi i rami del Parlamento, aule e commissioni, sempre che nel frattempo, ovviamente, non dovessero sciogliersi le Camere…
C’è poi il candidato alla segreteria Pd Michele Emiliano, il quale in ottica antirenziana propone addirittura un azzeramento totale degli stipendi dei politici.
Insomma, la partita è ancora aperta e vede in prima linea anche il governo, il quale si trova tra le mani un’arma a doppio taglio: rimanere in sella senza arrivare al dunque, potrebbe significare l’ok alle pensioni dei parlamentari, staccare la spina entro settembre, invece, taglierebbe le pensioni, ma lascerebbe tutto così com’è.
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